Tre storie di ordinaria follia tra mille che di ordinario non hanno nulla: quella di Arjan, un ragazzo fuggito dall’Albania, approdato in Italia, diventato prete, tornato in Albania a fare il vescovo (il papa lo ha mandato a guidare la Chiesa albanese affidandogli la Diocesi di Tirana-Durazzo); quella della Tunisia, Paese a due passi dalle coste italiane, luogo di turismo per milioni di cercatori di bellezze incontaminate e di sole, insieme di città e paesi in cui i profumi di gelsomino e incenso inebriano, dove la gente che ti accoglie offrendoti pane casereccio intinto nell’olio delle sue olive ti fa sentire a casa; quella delle “fototrappole” collocate su un tratto di confine italico non per intercettare orsi o lupi, ma esseri umani in fuga vestendo la tunica dei migranti… Arjan è uno dei mille che ce l’hanno fatta; la Tunisia no, è ancora lì in miseria e alla mercé di politicanti che prima s’accomodano loro e poi invocano comprensione per la loro gente, è ancora lì nella disperazione, spera tempi nuovi, ma intanto migliaia dei suoi s’avventura per mare alla ricerca di una spiaggia che li accolga e li aiuti a ricominciare; le “fototrappole” sono in funzione e segnalano all’autorità competente ogni movimento sospetto, che se è di qualche umano scattano le difese messe a punto, mentre se si tratta di un orso o di un lupo, allora tutto resta nella norma).
PRIMA STORIA – Arjan aveva sedici anni quando, nel 1993, salì su un motoscafo insieme a quaranta connazionali per venire in Italia, l’Eldorado sognato da tanti albanesi in fuga da una terra segnata dalla dittatura comunista e da una devastante crisi economica. Trent’anni dopo si ritrova a essere arcivescovo della diocesi di Tirana-Durazzo e a guidare una Chiesa che conosce una nuova fioritura. Quel ragazzo, dopo l’approdo sulle coste pugliesi, venne trasferito a Cuneo dove con l’aiuto di alcuni connazionali cominciò a lavorare: saldatore, giardiniere, muratore, tutto ciò che è utile per campare. Poi l’incontro con alcuni giovani della Casa di Maria, una comunità di preghiera, con i quali nasce «un’amicizia sincera e gratuita che mi ha fatto riscoprire il volto amico di Dio – racconta Arjan –. Un volto che da piccolo avevo solo intuito, vedendo mia nonna che ogni sera si affacciava alla finestra e guardava la stalla di fronte a casa tenendo in mano una catenina con noccioli di ulivo. Solo più tardi capii che era una corona del Rosario senza segni religiosi e venni a sapere che al posto della stalla, prima del comunismo, c’era la chiesa del paese…”. Da lì, insieme ai giovani della comunità incontrata a Cuneo, Arjan conosce l’esperienza di Medjugorie e sente crescere il fascino per il cristianesimo, fino a maturare la decisione di intraprende il percorso verso il Battesimo che riceve nel 1994. Poi, nel suo cuore nasce la vocazione alla vita religiosa, coltivata nella Fraternità dei Figli della Croce a Roma, fino all’ordinazione sacerdotale nel 2003 per le mani di Giovanni Paolo II. Negli anni successivi Arjan svolse il suo servizio come parroco e cappellano della comunità albanese a Roma, nella borgata del Trullo, finché nel 2017 torna nella sua terra come sacerdote fidei donum su richiesta dell’arcivescovo di Tirana-Durazzo, diventa suo vicario e, nel 2021, suo successore.
SECONDA STORIA – La Tunisia, terra di vacanze e rifugio di tanti annoiati dalla vita comoda dentro i loro paesi, vive adesso la crisi più drammatica: manca il lavoro, la politica langue, i flussi dei turisti e degli annoiati s’è affievolito fino a diventare irrisorio (i grandi e lussuosi alberghi costruiti sulle spiagge dorate sono vuoti e senza prospettive), l’agricoltura è prigioniera di siccità a cui nessuno ha posto ancora rimedio, la gente soffre e chiede aiuto… Tutto questo ha portato nelle ultime settimane a un flusso incontrollato di partenze verso l’Italia e i Paesi del Mediterraneo occidentale. Nella riunione del Consiglio Affari Esteri dell’Unione Europea, svoltosi a Bruxelles, l’Italia ha espresso «estrema preoccupazione» per uno scenario che può avere «conseguenze imprevedibili» con effetti devastanti sotto il profilo migratorio. Qualcuno ha messo in guardia dal pericolo di dover contare, se non si pongono adesso rimedi coraggiosi, milioni di migranti provenienti dalla Tunisia. Intanto, trentaquattro profughi provenienti da Paesi dell’Africa sub-sahariana risultano dispersi dopo che la barca sui cui viaggiavano è affondata al largo della Tunisia. Lo ha riferito un portavoce del tribunale di Sfax, dalle cui coste i migranti erano partiti in direzione dell’Italia. Sul barcone si trovavano 38 persone: quattro sono state soccorse. Alcuni migranti hanno riferito di essere stati picchiati dalla guardia costiera tunisina… Sulla Tunisia si concentrano i timori dell’Unione europea e del governo italiano, pronti ad aumentare gli sforzi per favorire un ritorno alla stabilità dello Stato magrebino fermando l’aumento vertiginoso dei flussi migratori. I barconi che hanno raggiunto le coste italiane sono quasi tutti partiti dalla città portuale di Sfax. I migranti hanno detto di aver pagato tremila dinari tunisini per il viaggio. I migranti, di cui diverse donne e minori, oltre che tunisini, sono originari di Congo, Camerun, Nigeria, Costa d’Avorio e Guinea, Sierra Leone, Siria, Marocco e Burkina Faso.
TERZA STORIA – Dice la cronaca: con le “fototrappole” contro la rotta balcanica. Infatti, la Regione Friuli Venezia Giulia è pronta ad acquistare “fototrappole” da posizionare sui sentieri in prossimità dei confini per individuare in tempo reale i transiti di immigrati irregolari”. Questi sistemi di rilevazione ottica, spiega il cronista, trasmetterebbero i dati raccolti all’amministrazione regionale e alle forze dell’ordine, permettendo così interventi mirati e aumentando il numero di riammissioni, in particolare verso la Slovenia. Era il 14 gennaio 2020… e l’assessore regionale a Sicurezza e Politiche dell’immigrazione della Regione di confine annunciava le decisioni esibendole come trofeo. Adesso, dopo tre anni, quel marchingegno solitamente usato per rilevare orsi e lupi si materializzeranno, nel frattempo diventato deterrente per gli umani migranti, si materializzerà e sessantacinque “fotocamere” saranno disseminate sulla linea di confine. “Ora le chiamano “fotocamere”, ma in realtà – hanno scritto alcuni cronisti – hanno cambiato nome, perché le “fototrappole” sono quelle che sulle montagne e nei boschi del Friuli Venezia Giulia vengono utilizzate per certificare la presenza di orsi, lupi, ed altri animali”. L’uso delle “fotocamere”, ha sentenziato il presidente della Regione, “è molto positivo”; secondo il responsabile di un’associazione che si occupa di portare aiuto ai migranti, “il posizionamento delle “fototrappole” (chiamiamole proprio così) è illegittimo e la Regione, con i fondi dei cittadini, non può né acquistare, né posizionare, né gestire, neppure indirettamente, alcun sistema di rilevazione e controllo lungo la linea confinaria”.
Tutto il resto è noia, oppure follia ordinaria, oppure tragica incombenza… Fate voi.
LUCIANO COSTA