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Una buona Festa della Repubblica…

Non un semplice buongiorno, ma un augurio accompagnato da quel “buona festa della repubblica” che offre subito l’idea di un’Italia unita, vera, sincera, pronta a farsi carico degli oneri che essere Repubblica comporta. Gli alunni di una secondaria, per onorare la festa hanno trasformato colori della bandiera in altrettanti momenti di quotidianità. Così, i tre pupazzi di calciatori messi lì per suscitare interesse, li hanno vestiti uno con i colori del Sassuolo (verde), l’altro con quelli del Milan (rosso) e l’ultimo con quelli della Juventus (bianco). Curioso di sapere se per caso non vi fossero anche altre motivazioni, ho incontrato il vuoto, cioè quel “non so” che lasciava intendere come neppure la scuola fosse riuscita ad allargare l’orizzonte, magari anche solo per dire ai ragazzi che dalle parti di Sassuolo dell’Emilia era nato il tricolore d’Italia, che Milano era stata fucina di idee tanto audaci da diventare emblema di libertà e riscatto dagli invasori e che a Torino era nata, rafforzata e poi diffusa all’intera penisola l’Unità d’Italia. In ogni caso, anche su quel semplice disegno svettava la scritta che annunciava la Festa della Repubblica.

Ai giovanotti provenienti dalla formazione professionale sono invece andato a chiedere il significato del termine repubblica e come tale termine sia oggi al centro della festa nazionale. Fatto salvo il concetto generale (nella Repubblica comanda il popolo), per il resto ho raccolto approssimazione (si vota e chi prende più voti comanda), tentennamenti (c’è un Presidente che però non decide niente o quasi), ripensamenti (il Parlamento è diviso in due rami, però non si capisce cosa faccia uno e cosa l’altro…) e, per fortuna, anche una notevole preparazione, quella che ha permesso a un ragazzotto tutto jeans e felpa di mettere in chiaro la formula riassuntiva del temine Repubblica: forma di stato di carattere rappresentativo in cui l’organo supremo (capo dello stato) viene eletto o direttamente dal corpo elettorale o dai membri del parlamento.

Quanto al significato di “Repubblica democratica”, altrettanta chiarezza hanno usato i giovanotti per dire che essa esprime la forma di governo italiana e che in essa tutte le cariche pubbliche, compresa quella che rappresenta l’unità nazionale (Capo dello Stato), si riconducono direttamente o indirettamente al consenso del popolo. E perché fosse chiaro che sapevano, la ragazza del gruppo si è premurata di spiegarmi che la differenza tra ciò che era stato (monarchia) e ciò che si annunciava (repubblica) risiedeva nel metodo: nella monarchia il capo di stato (detto “re”, o “sovrano”) viene scelto per via ereditaria, mentre nella repubblica il capo di stato (chiamato solitamente “presidente”) viene scelto attraverso libere elezioni.

Ieri sera, al convivio dei senza tempo, su Repubblica e dintorni i soliti senza tempo li ho visti distratti, incapaci di ricordare e di mettere in ordine fatti e accadimenti. “E’ l’età che avanza e che assopisce la memoria”, ha detto uno dei conviviali. “Qui non è questione di memoria personale – ha ribattuto il suo vicino di panchina – ma di memoria collettiva, quella che dovrebbe ogni volta essere messa in bella evidenza, ricordata e proposta così che nessuno possa sentirsi fuori dal contesto e dalla conoscenza …”. Quel che serve, ho aggiunto io come provocazione ulteriore, è allora un bel libero di storia… “Non un libro – ha sussurrato l’ultimo della fila -, ma almeno il riassunto della storia”.

Eccolo quel riassunto. La nascita della Repubblica Italiana avvenne il 2 giugno 1946 in seguito ai risultati del referendum istituzionale indetto per determinare la forma di governo. Per la prima volta in una consultazione politica nazionale votavano anche le donne: risultarono votanti circa 13 milioni di donne e 12 milioni di uomini, pari complessivamente all’89,08% degli allora 28 005 449 aventi diritto al voto. I risultati furono proclamati dalla Corte di Cassazione il 10 giugno 1946: 12 717 923 cittadini favorevoli alla repubblica e 10 719 284 cittadini favorevoli alla monarchia. La notte fra il 12 e 13 giugno, nel corso della riunione del Consiglio dei Ministri, il presidente Alcide De Gasperi, prendendo atto del risultato, assunse le funzioni di capo provvisorio dello Stato. L’ex re Umberto II lasciò volontariamente il paese il 13 giugno 1946, diretto a Cascais, nel sud del Portogallo, senza nemmeno attendere la definizione dei risultati e la pronuncia sui ricorsi (poi respinti dalla Corte di Cassazione il 18 giugno 1946. Subito dopo la consultazione elettorale non mancarono scontri provocati dai sostenitori della monarchia.

Il 2 giugno 1946, insieme con la scelta sulla forma dello Stato, i cittadini italiani elessero anche i componenti dell’Assemblea Costituente che doveva redigere la nuova carta costituzionale[5]. Alla sua prima seduta, il 28 giugno 1946, l’Assemblea Costituente elesse a capo provvisorio dello Stato Enrico De Nicola, con 396 voti su 501, al primo scrutinio. Con l’entrata in vigore della nuova Costituzione della Repubblica Italiana, il 1º gennaio 1948, De Nicola assunse per primo le funzioni di presidente della Repubblica. Si trattò di un passaggio di grande importanza per la storia dell’Italia contemporanea dopo il ventennio fascista, il coinvolgimento nella seconda guerra mondiale e un periodo della storia nazionale assai contrastato. Nello stesso anno, nel mese di maggio, fu poi eletto presidente della Repubblica Luigi Einaudi, primo a completare regolarmente il previsto mandato di sette anni.

Oggi, a settantacinque anni dalla nascita della Repubblica, il Presidente Sergio Mattarella parla di noi italiani come abitanti di “un Paese forte e coeso, che ha fatto “progressi straordinari” e che oggi ha la porta spalancata verso una “stagione di rinascita” e una ripresa economica da non mancare per modernizzare il Paese. E nel messaggio inviato ai Prefetti (che, giova ricordarlo, rappresentano la Repubblica nelle diverse province) perché facciano da tramite con il popolo, sprona i cittadini ad avere fiducia, a non perdere lo slancio per una ripresa che deve essere “efficace e veloce”. Perché, aggiunge, “se ora possiamo guardare con maggiore fiducia al futuro, è soprattutto grazie alla ricchezza di risorse che il Paese ha saputo trovare o riscoprire e all’apporto unitario che ciascuno, non senza sacrificio, ha offerto”. La lezione della pandemia ha poi messo in chiaro che le sfide globali richiedono sforzi globali e tanta cooperazione. “La concezione di un bene comune, più importante di ogni particolarismo – ha ribadito con forza il Capo dello Stato -, ci ha portato ad essere convintamente parte della Unione Europea, elemento imprescindibile della nostra stessa identità nazionale. La terribile esperienza della pandemia ha reso evidente la profonda interdipendenza dei destini dei nostri popoli: soltanto efficaci forme di coordinamento si sono dimostrate utili per contrastarla e sconfiggerla. Questa cooperazione sostiene le opportunità offerte da una nuova stagione di ripresa e rinascita, civile ed economica. Un nuovo inizio per una comunità internazionale che voglia affrontare con successo le sfide della sostenibilità dei modelli di vita e della lotta alle disuguaglianze”.

Questa mattina all’alba, sentito il primo “buongiorno” accompagnato dal “buona Festa della Repubblica” con cui le reti televisive aprivano i programmi, ho rimesso in circolo ricordi ed emozioni lontani… Ho ricordato Gino, che era orfano di entrambi i genitori e che la fatica di vivere l’aveva misurata per intero. Gino non aveva fatto la guerra perché gli orfani dovevano badare prima a se stessi, era stato lontano dal fascismo anche se proprio da quella sponda arrivavano le sollecitazioni a partecipare, magari per ottenere luccicanti prebende e, forse, un posto fisso in qualche ente di loro competenza. Poi, Gino aveva festeggiato la liberazione nel solo modo che conosceva: andando in strada a sventolare un fazzoletto verde come la speranza di poter ricominciare a vivere. Gino non era mai stato monarchico perché il re gli suscitava più smarrimenti che certezze (meditava infatti sul re così ricco e pomposo mentre chi stava in strada e cercava lavoro restava povero e derelitto). Allora, il due giugno 1946, convinto e fiero, votò Repubblica. “Ero sicuro – mi raccontò un giorno – che il nuovo passava da gente libera che liberamente dava consistenza a idee e progetti per un Paese nuovo, e nuovo perché abitato da persone che sognavano in grande”. Gino, che di mestiere faceva il falegname, prima di andare avanti mi regalò un quaderno mai usato invitandomi a riempirlo di pensieri degni di essere ricordati… Sulla prima pagina, chissà quando, avevo scritto che una buona Festa della Repubblica sarebbe stata quella che metteva tutti sullo steso piano, che garantiva a ciascuno pari dignità e pari opportunità. Tanto è stato fatto e tanto rimane ancora da fare…

LUCIANO COSTA

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