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Una catena umana fatta di anelli deboli

La pandemia economica e sociale non è mai finita. La ripresa dell’Italia post Covid ha lasciato infatti indietro un italiano su dieci soprattutto al sud. E, oltre a una preoccupante povertà minorile da record, crescono le probabilità per chi ha una famiglia numerosa di non arrivare a fine mese. Dati e riflessioni su questo tragico procedere sono contenuti nel rapporto Caritas Italiana – “Anello debole” è il titolo che gli hanno dato –  che impietosamente mette davanti agli occhi di un’Italia in tutt’altre faccende affaccendata.

Cioè, alle prese con la guerra e le guerre che assillano e generano disperazione non solo laddove si combatte ma anche qui tra noi, con il Covid ancora in libera uscita, con inflazione galoppante, bollette gas-luce-acqua in vertiginosa ascesa, violenza subdola e feroce disseminata tra città e campagne, lavoro che non c’è, fabbriche e officine che chiudono, commercio che abbassa le serrande, post-elezioni turbolento (litigano i vincitori, ma anche gli sconfitti non scherzano, mentre si rivedono segni di un passato inglorioso, fatto di brigatisti rossi e anarchici di ogni specie pronti a imbrattare muri e a minacciare chiunque non la pensi come loro, che credevamo seppellito per sempre), governo da inventare, liti tra vecchi e giovani rampanti da sedare – la giovane rampante in attesa di investitura pare abbia archiviato le offese e quindi aperto la porta al vegliardo cavaliere pronto a fare ammenda e a chiedere scusa per il suo esuberante modo di giudicare la dirimpettaia che lo ha scalzato dal trono -, poltrone da assegnare, maggioranze politiche da verificare, programmi da completare, idee da far uscire dalle nebbie, certezze da regalare all’italico popolo…

Il rapporto sulla povertà, presentato come da tradizione ieri, nella giornata mondiale di lotta all’indigenza, fotografa l’anno nero dell’Italia nascosta, quella che non ce la fa, che convive con la povertà quotidiana, che spera giorni migliori immaginandosi destinataria, anche lei, di quel reddito di cittadinanza che loro aspettano e che per altri è solo un bicchiere d’acqua dato a chi avrebbe invece bisogno di medicine in grado di guarire. E proprio ieri, anch’io sono andato per vie e piazze della mia città a vedere se e come la povertà s’annida tra le pieghe di un mondo che, nonostante tutto, continua a cavarsela.

Brescia, la mia bella città alle prese con un futuro che la colloca ai vertici della cultura, ancora certa del suo ruolo trainante e felice di mettere in mostra anni di buon governo, non mi è sembrata preoccupata e neppure disposta a dar credito ai venditori di sventura. “Siamo lavoratori abituati alla tuta e alle maniche rialzate fino ai muscoli, pronti a fare la nostra parte, coraggiosi e decisi a battere qualsiasi crisi”, mi ha detto un piccolo industriale che le sue fortune le ha conquistate ieri sudando e rischiando e che oggi le difende mischiandosi agli operai, condividendo con loro fatica e polvere. Un gran bel quadretto! Però, all’angolo del corso cittadino di mezzo, la donna che suonava la fisarmonica sperando di ricevere in cambio un soldo, diceva che anche lei era parte dell’anello debole disegnato dal rapporto. E poco più in là, nella grande piazza, il vecchio Antonio mostrava di che pasta era fatta l’indigenza; e davanti all’ingresso della “mensa” inventata da una benemerita suora (onorata adesso da una schiera lodevole di volontari) per dar da mangiare agli affamati e soccorso ai disperati, un’ora prima dell’apertura c’era già la fila; e agli sportelli del panino (più di uno, tutti puntuali ad aprire per distribuire quel che generosità e carità hanno messo a disposizione)  mischiati come se quello fosse il luogo della festa, donne e uomini di tutte le età tendevano la mano; e laggiù, tra i parcheggi d’auto, gli immancabili extracomunitari speravano aiuto e comprensione; e davanti alla bottega dispensatrice di buon pane (non la sola), alle porte del supermercato, all’angolo della trafficata strada, tra il verde e le piante del parco, all’ingresso delle banche più in vista e laddove chi può arriva per un caffè o un drink, ecco altri questuanti, disperati, affamati… E davanti e dentro i cosiddetti uffici di assistenza il panorama non era diverso…

Dice il rapporto della Caritas che il paese degli ultimi l’anno scorso si è ulteriormente ingrandito fino a contare 1 milione 960mila famiglie in povertà assoluta, pari a 5.571.000 persone che sono il 9,4% della popolazione residente. L’incidenza si conferma più alta nel Mezzogiorno (10%) mentre scende significativamente nel Nord-Ovest (6,7% da 7,9%). Tra il 2020 e il 2021 la povertà è cresciuta più della media nelle famiglie con almeno 4 persone, con persona di riferimento di età tra 35 e 55 anni. le famiglie degli stranieri e quelle con almeno un reddito da lavoro.

I livelli di povertà continuano ad essere inversamente proporzionali all’età: la percentuale di poveri assoluti si attesta infatti al 14,2% fra i minori, ovvero quasi 1,4 milioni di bambini e ragazzi, scende all’11,4% fra i giovani di 18-34 anni e all’11,1% per la classe 35-64 anni, mentre scende al 5,3% per gli over 65. E gli immigrati tornano ad essere la maggioranza… Uomini e donne e sono la metà esatta degli assistiti mentre l’età media è quasi di 46 anni. Spesso sono “equilibristi” che per i lavori precari entrano ed escono dallo stato di bisogno. E’ anche cresciuta l’incidenza degli stranieri: sono il 55% a livello nazionale con punte del 65,7% e del 61,2% nel Nord-Ovest e nel Nord-Est dove la presenza degli immigrati è superiore e la vita è più cara. Nel Sud e nelle Isole prevalgono gli assistiti italiani, rispettivamente il 68,3% e il 74,2% dell’utenza.

La rete Caritas ha erogato nel 2021 quasi un milione e mezzo di interventi. Tre quarti degli aiuti riguardavano la spesa alimentare e circa il 5% sussidi economici per il pagamento di affitti e bollette. Questi, però, già l’anno scorso, per i rincari da transizione energetica hanno assorbito, oltre tre quarti delle spese. Quest’anno con i rincari la situazione è destinata a diventare molto più difficile. Il reddito di cittadinanza, rivela poi il rapporto Caritas, arriva solo al 44% delle persone in povertà assoluta. E nell’Italia dove la mobilità sociale è ferma da molti anni, oltre ad esserci sempre più minori in stato di indigenza, la povertà è diventata ereditaria. Purtroppo “l’ascensore sociale è guasto, è rotto da tempo e pochi sono interessati ad aggiustarlo”. Allora, non si tratta soltanto di fare quello che si può, ma bisogna fare quello che serve, quello che si deve, quello che ci viene chiesto, quello che è necessario per rispondere alle tante, troppe necessità e disuguaglianze.

LUCIANO COSTA

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