VACCINI – Cento milioni: tante sono le dosi di vaccino anti-covid rifiutate dai Paesi poveri del mondo, perché vicine alla scadenza. L’allarme arriva dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) che accusa le Nazioni più sviluppate di fare incetta di vaccini per poi dare alle popolazioni indigenti quelli a breve scadenza. Una dinamica che rappresenta «una vergogna morale», ha detto l’Oms.
I Paesi poveri hanno bisogno di dosi che possano essere conservate a lungo, sottolinea Etleva Kadilli, direttrice della divisione forniture dell’Unicef, perché solo così si possono vaccinare «le popolazioni che vivono in zone difficili da raggiungere».
Finora, ha riferito Tedros Adhanom Ghebreyesus, direttore generale dell’Oms, nel mondo sono state somministrate più di 9,4 miliardi di dosi di siero. Tuttavia, novanta Paesi non hanno ancora raggiunto l’obiettivo di vaccinare il 40 per cento della popolazione entro la fine del 2021 e 36 di queste Nazioni hanno immunizzato meno del 10 per cento dei loro abitanti. L’allarme riguarda in particolare l’Africa: in questo continente più dell’85 per cento della popolazione, pari a circa un miliardo di persone, non ha ancora ricevuto una sola dose. (L. C.)
PRETESE – Fra i tanti mali che affliggono la Giustizia italiana, uno esula da ogni disputa sulle carenze del sistema, i limiti della magistratura e la ridondanza dei codici e delle leggi: quel male è l’ingolfamento dei tribunali provocato da migliaia di cause inutili, pretestuose o al limite della temerarietà. Troppo spesso chi non sa come far valere le proprie ragioni (o è convinto di aver ragione anche se non ce l’ha) sporge denuncia, presenta un esposto, si rivolge a un giudice manco fosse un calciatore che invoca il Var per stabilire se un fallo è da rigore – o un gol in fuorigioco – oppure no. Costringere un Pm ad aprire un fascicolo o un TAR ad avviare un’istruttoria, in fondo, non costa niente (al ricorrente; ai cittadini evidentemente sì!).
L’ultima riprova si è avuta qualche giorno fa a Cremona con il giudice per le indagini preliminari Pierpaolo Beluzzi «costretto» a emettere un decreto per riaffermare la più ovvia delle verità: nessuna evidenza scientifica indica una correlazione tra la pandemia Covid 19 e la rete 5G. Il caso era stato sollevato da un avvocato milanese in numerose Procure. Il Gip cremonese ne ha disposto l’archiviazione con due semplici osservazioni: 1) il coronavirus è diffuso in tutto il mondo, mentre le reti 5G sono attive solo in una piccola parte: evidentemente non può essere quella la causa dei contagi; 2) gli studi compiuti da alcuni esperti non hanno prodotto esiti significativi, tanto da restare nel campo delle opinioni, senza unanimità da parte della comunità scientifica. Conseguente il dubbio: perché mai l’avvocato Giancarlo Cipolla ha chiesto a un giudice la risposta che neppure la scienza è in grado dì dare? Eccesso di fiducia o eccessiva ricerca di visibilità? Quale che sia la risposta, spesso contare fino a… mille prima di agire eviterebbe spese inutili e assurde perdite di tempo. O no? (Marco Bencivenga)
PRIVILEGI – Scrivo perché credo che chi ha dedicato la sua vita allo sport e chi si ne occupa nel rispetto dei suoi valori non possa esimersi dal rendere pubblica la sua posizione riguardo all’affaire Djokovic. Non voglio riferirmi ai mille lati oscuri di questa vicenda, alle tempistiche che non sono state rispettate, alle dichiarazioni vaghe, ai tanti silenzi che hanno alimentato teatralmente un mistero. Non voglio riferirmi, anche se qui l’asticella si alza, alle spiegazioni che dovrebbe un personaggio pubblico rispetto agli eventi ai quali ha presenziato dopo la positività del 16 dicembre e, nonostante questo, il suo in gresso in Australia per giocare una o tante partite di tennis.
A me interessa parlare di altro: le sue, peraltro già esplicite, posizioni no-vax. Chiare fin dai tempi di quell’Adria Tour organizzato dal Djokovic nel giugno del 2020, in barba alle norme anti-Covid e diventato focolaio di contagi, con successive, irritanti, scuse.
Novak Djokovic ha ottenuto prima il diritto (accettato dalle autorità sulla base di dichiarazioni che poi sono risultate non vere) e poi l’espulsione (stabilita proprio perché laggiù la legge non ammette bugie o anche solo mezze verità). Buon per lui che abbia ottenuto il diritto d’ingresso (seppure sub iudice), con tanti saluti a quei poveracci tenuti da anni nello stesso hotel (momentanea sede del ricco tennista), senza sollevazioni di popolo e senza cibo gluten free; ottima lezione per chiunque crede di poter vantare privilegi per il solo fatto di essere questo o quel qualcuno.
Il tennista serbo non giocherà gli Open d’Australia. Di sicuro giocherà altri tonei e forse li vincerà, perché, meglio di altri, piazza dritti, rovesci e volée su un campo da tennis. Se questo è un motivo per considerarlo un eroe, mi arrendo. Ognuno pensi come vuole ma, per cortesia, non lo si avvicini a campioni come Muhammad Alì, John Carlos, Tommie Smith o il nostro Gino Bartali. Tutti atleti che a rischio della propria carriera, o perfino della propria vita, hanno combattuto battaglie per rendere il mondo un posto migliore.
Qui, invece, sono di fronte a un atleta che ha scelto di combattere sì, ma per difendere un principio individuale, e aggiungo profondamente egoistico, di non-azione rispetto a un problema per il quale, come ha detto il suo collega Rafa Nadal, «il mondo ha già sofferto abbastanza». Le sue dichiarazioni e le sue azioni no-vax sono più che sufficienti per costruirmi un’opinione e semmai vorrei vedere tanti altri campioni schierarsi a favore del vaccino con la stessa forza con la quale Djokovic si è speso contro. Nel frattempo, teniamo accesa la nostra Lanterna Verde per ricordare, che a differenza del tennista numero uno della classifica Atp, al Park Hotel di Melbourne restano tante donne e uomini in cerca disperata di un futuro più solidale e più giusto. (Mauro Berruto)