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Virus e varianti: che coppia!

La copertina dell’anno 2020 è sicuramente quella che a cavallo dei numeri necessari per classificare la loro temporalità, ha messo una grande “x”, non per segnalare un non so che di indefinito, bensì per stabilire la sua cancellazione. Sì, l’anno 2020 merita soltanto di essere annullato, per di più da una lettera consonante apocrifa, che a sua volta rappresenta un nulla di fatto, un pareggio senza lode e senza onore, cioè inutile. Brutto anno, insomma. Come quello che, quasi quarant’anni fa, diede il via alle discussioni sul postumano e, conseguentemente, sul postumanesimo. Paolo Benanti, fine studioso e critico acuto del modernismo mediatico, ha scritto qualche tempo fa una riflessione che non smette di preoccuparmi e di stupirmi: preoccupazione derivante dalla complessità quasi impenetrabile (ovviamente per me soltanto) della materia trattata; stupore (tutto mio) derivante dallo scoprire di essere felicemente tra coloro che al massimo possono vantarsi di “nulla sapere”. Secondo Benanti “allo sviluppo delle macchine, che abbiamo visto irrompere in questo cambio d’epoca, corrisponde anche una nuova visione della vita: il pensiero postumano”.

Di che cosa si tratti lo dice l’analisi storica, secondo la quale “il movimento postumano prende lentamente forma a partire dalla seconda metà del secolo scorso. Alcuni studiosi – precisa Benanti – suggeriscono di guardare al 1982 come data in cui il movimento si inizia a costituire attorno ad alcune idee-chiave. Il motivo di questa scelta è legato a un articolo pubblicato dal popolare settimanale «Time» che, all’epoca, suscitò grande scalpore nell’opinione pubblica mostrando un mutamento ormai compiutosi nella società occidentale. Il «Time», come è noto, è un periodico statunitense che dedica la prima copertina di ogni nuova annata alla persona più influente dell’anno appena trascorso alla quale viene attribuito il titolo di Man of the Year. Nel 1983 la rivista nordamericana, proseguendo una tradizione lunga oltre cinquanta anni, indica così le qualità che contraddistinguono il vincitore del 1982: è giovane, affidabile, silenzioso, pulito e intelligente; è bravo con i numeri e insegnerà o intratterrà i bambini senza un lamento. Il «Time» non si riferiva però a un essere umano ma a un computer e nell’editoriale che accompagnava la proclamazione del vincitore, Otto Friedrich fa notare che, nonostante molti uomini avessero potuto essere eletti a rappresentare il 1982, nessuno era in grado di simbolizzare l’anno appena trascorso quanto un elaboratore elettronico”.

Facendo un passo ulteriore verso la conoscenza, Benanti dice che “leggendo le lettere di risposta dei lettori che seguirono la scelta del «Time» sembra di poter indicare in questo evento un simbolo di quanto il postumanesimo avrebbe proposto da lì a poco, il fatto cioè che questa volta l’umanità sembrava aver fallito l’impresa di lasciare un segno. Infatti, il riconoscimento di “Uomo dell’anno” non era più applicabile e così la copertina era decorata con un nuovo titolo: “Macchina dell’anno”. Al centro della pagina si stagliava la macchina vittoriosa, con il suo schermo vivido e pieno delle sue informazioni e, a fianco, una scultura logora e senza vita di una figura umana che faceva da spettatore, con il suo epitaffio formato dalle parole sotto il titolo principale: «Il computer arriva». Veniva così sancita l’idea di un uomo in crisi, incapace di saper gestire le macchine che lui stesso aveva creato, destinato a essere confinato in un passato fatto di residui archeologici. Il postumano si configura, quindi, attorno all’idea centrale di un’umanità sconfitta dal suo stesso progresso”.

Ieri ho avuto la riprova della sconfitta dell’umanità per mano del suo stesso progresso. E’ accaduto quando, leggendo, ho scoperto che la misteriosa variante del virus non è più pericolosa del virus, ma solo più veloce e furba del virus conosciuto. Però, come hanno subito detto i nostri politici, “niente paura: ce la faremo”. E’ uno slogan, tal quale a quello che lo ha preceduto e che diceva “andrà tutto bene”. Il vecchio saggio mi ha consigliato prudenza. Però, voi capite bene che “non si può più vivere di slogan o adottare le tecnologie solo come possibilità per meglio gestire questioni specifiche; semmai il problema vero, oggi, è il governo dei processi storici e, prima di tutto, la loro comprensione”. In altre parole: dobbiamo aprire gli occhi e allargare le orecchie in modo che niente scorra senza essere visto e ascoltato. Perché è vedendo e ascoltando che si evitano cattivi incontri e occasionali varianti.

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