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Cercare il bene comune…

Il bene comune come principio attorno al quale far crescere il Paese, dare slancio alle comunità, rinsaldare il senso della solidarietà, provare che insieme e non da soli si può andare oltre la crisi innestata dalla pandemia. Il Presidente del Consiglio Mario Draghi, presentando al Parlamento il piano attuativo del recovery plan, senza citarlo come virtù indispensabile, ha però spalmato il concetto di bene comune su ogni azione da intraprendere.

Commentando il discorso fatto da Draghi a Camera e Senato, un politologo lo ha definito “pieno di buonissime intenzioni, ma non ancora incisivo; lodevole, ma ancora imbevuto di buonismo piuttosto che di decisionismo…”. Non sono un politologo e quindi mi discosto dal giudizio espresso dall’esperto per dire che il Presidente del Consiglio ha finalmente messo il Parlamento nella condizione di essere o protagonista assoluto del bene comune, o il suo più spregiudicato avversario. Tanti hanno compreso, altri capiranno, pochi si chiameranno fuori…

A costoro vale la pena ricordare che per bene comune si intendono tutte le azioni finalizzate a garantire dignità e pari opportunità alle persone, a loro volta popolo e nazione. Un’acuta analisi del professor Piergiorgio Grassi sottolinea che purtroppo, ancora adesso “populisti e sovranisti trattano il popolo non come soggetto, ma come massa manipolabile in vari modi, in contrasto con l’idea di popolo che faticosamente e attraverso conflitti di ogni genere si è affermata in Occidente e che si trova ora ad affrontare nuove sfide”.

Tra queste la coesistenza precaria tra culture e religioni diverse. “Assistiamo perciò – scrive il professore – ad un evidente paradosso: da una parte le difficoltà quotidiane delle convivenza e, dall’altra, la crescente consapevolezza del fatto che l’umanità è una, che al di là delle nazioni, delle differenti religioni e culture l’umanità in quanto tale merita di essere messa in primo piano perché si è tutti sulla stessa barca e ci si salva solo cooperando insieme, come ci stanno insegnando la pandemia di Covid-19, i cambiamenti climatici in corso, l’inquinamento ambientale e il consumo dissennato delle risorse non rinnovabili del pianeta”.

Perché ci sia un popolo, ci vuole una storia condivisa, trasmessa in molti modi, e ci vuole la volontà di vivere insieme. E questo si chiama bene comune, unico modo per garantire insieme unità e diversità. Secondo il filosofo Paul Valadier “una tale pluralità… dev’essere organizzata e strutturata. Se lasciata a se stessa, infatti, essa si distrugge in rivalità di ogni sorta”. Se cercato e applicato il bene comune rappresenta “la chiamata a un lavoro di reciproco riconoscimento, che impegna tutte le parti in gioco, poiché spetta a ciascuno di operare un lavoro su se stesso per aprirsi al riconoscimento dell’altro, cosa che trasforma per forza colui che si impegna in questo lavoro, ma che implica pure che l’altro non se ne stia fermo in un’identità ombrosa, che egli prenda parte al gioco della relazione, contro i comunitarismi chiusi in se stessi e troppo agitati per rischiare l’avventura del riconoscimento”.

I luoghi dove tutto ciò può avvenire sono tanti: dalla scuola all’educazione, dal lavoro dell’opinione pubblica informata e pronta a discutere sulle proprie divergenze, dalla responsabilità politica, la quale non dovrà sollevare i gruppi gli uni contro gli altri in un clima di diffidenza, ma operare in vista della vita comune, vale a dire per bene comune. “L’alternativa – dice il filosofo – è una patologia sociale che si manifesta nella diffusione della cultura del disprezzo e dello scarto”.

Ma si può ritenere sufficiente tutto ciò per vincere inerzie e resistenze, per avviare a soluzione complicate questioni di carattere giuridico e politico, di costume, di diritti e così via; questioni che inevitabilmente si pongono, una volta assunta con decisione questa prospettiva? Forse non ancora, ma se al tutto si aggiunge, come ha proposto papa Francesco, la parola fraternità, allora è diventa possibile cambiare il mondo usando il bene comune come principio di dialogo, di una buona politica, cioè capace di costruire ovunque popoli fondati su relazioni fraterne.

LUCIANO COSTA

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