Questione controversa quella del crocifisso esposto nelle aule scolastiche, o di giustizia, o di luoghi pubblici in generale. Tanto controversa da essere tuttora al centro di azioni giudiziarie, ora per giustificarne la presenza, ora per impedirla. La domanda proposta, ieri e anche oggi, è sempre la stessa: che ci fa un crocifisso, simbolo religioso, dove di religione c’è assai poco? La risposta, nel tempo, è sempre stata la stessa: il crocifisso è parte della storia di questo Paese e, per dirla con il Consiglio di Stato, “per tutti, credenti e non credenti, esso non discrimina”. Nella sentenza con cui chiudeva il ricorso di una signora finlandese che aveva chiesto la rimozione del crocifisso dalle aule frequentate in Italia dai suoi figli (sentenza n. 556 del 3 febbraio 2006) il giudice della VI Sezione del Consiglio di Stato diceva esplicitamente: “Il crocifisso deve restare nelle aule perché esso non è solo un simbolo religioso, ma esprime tutti i valori civili di tolleranza, rispetto reciproco, valorizzazione della persona, affermazione dei suoi diritti e solidarietà, tutti principi che delineano la laicità nell’attuale ordinamento dello Stato”.
Tutto chiaro? Proprio no. Infatti, nel 2011, un insegnante di lettere in una scuola dell’Umbria, sospeso temporaneamente dalle autorità scolastiche per essersi opposto alla presenza del crocifisso nell’aula in cui teneva lezione (esposizione approvata dalla maggioranza degli studenti), presentò ricorso, riaprendo di fatto una questione che già in passato era arrivata sino alla Corte europea dei diritti dell’uomo, in quel caso chiamata a stabilire “se la presenza del crocifisso nelle aule violasse o meno il principio di neutralità dello Stato”. La sentenza di allora stabilì che tale simbolo, dotato anche di valenza culturale, non costituiva un elemento “attivo” di propaganda religiosa, consentendone di fatto l’esposizione. Fine della discussione? Neanche per sogno. Infatti, prossimamente (non è stabilita una data, ma è probabile che avvenga prima delle vacanze estive), le Sezioni unite della Corte di Cassazione, dopo che la Sezione competente non ha ritenuto la materia del contendere circoscrivibile al capitolo cause di lavoro, affronteranno la questione emettendo una sentenza questa volta speriamo inappellabile.
Ho letto nei giorni scorsi quello che il professor Joseph Weiler (un giurista statunitense di religione ebraica che a suo tempo aveva difeso davanti alla Corte di Strasburgo l’esposizione del crocifisso) ha detto a proposito di libertà religiosa e, in particolare, di cristofobia. Ammesse opinioni diverse sul come intendere la libertà religiosa, non è giustificabile e tanto meno accettabile “qualsiasi forma di discriminazione dei simboli che caratterizzano la religione professata”. Secondo il professore “la cristofobia, che è persino più comune e considerata più legittima per esempio dell’antisemitismo, è quanto di più assurdo si possa immaginare”. Per spiegarsi e spiegare, Joseph Weiler invita a pensare a “un insegnante italiano che si rifiuta di insegnare in un’aula semplicemente perché sulla parete c’è un crocifisso, messo lì su richiesta della maggioranza degli studenti. Immaginate – spiega – che quell’insegnante venga invitato a insegnare in una scuola ebraica, dove c’è una mezuzah appesa a ogni porta. Mi aspetto (e spero) che non ci pensi due volte e si metta felicemente a insegnare. E se nella scuola oggetto della causa dinanzi alla Cassazione la maggior parte degli studenti fosse ebrea e avesse chiesto che sulla porta venisse appeso una mezuzah invece di un crocifisso, immagino che anche qui insegnerebbe felicemente per rispetto verso la sensibilità religiosa dei suoi studenti ebrei. Ma allora, perché un crocifisso proprio no?”.
Ciò che, anche adesso, rende problematica la causa aperta davanti alla Cassazione, è la definizione dei limiti. “E’ inevitabile – spiega il professore – vedere come il diritto fondamentale alla libertà di religione racchiuda anche il diritto alla libertà dalla religione; osservare come la rivendicazione della libertà di religione di una persona compromette la libertà dalla religione di un’altra e viceversa”. C’è poi quel “malinteso comune riguardo alla neutralità o imparzialità dello Stato”. È evidente che quando lo Stato esige un crocifisso, invia un segnale. “E nel caso dell’Italia, il cristianesimo e il cattolicesimo sono una visione del mondo che deve essere rispettata: non adottata, ma rispettata”.
Questo perché viviamo in una società multiculturale, che riguarda anche le convinzioni religiose: ci sono tanti fedeli cattolici e tanti laici altrettanto fedeli; ci sono anche ebrei e musulmani (alcuni religiosi, altri laici). Se qualcuno ha paura di queste diversità, sbaglia. Nessuna paura è ammessa quando alla base del rapporto c’è il rispetto gli uni degli altri. “Viviamo in una società multiculturale – afferma il professor Weiler -, e il nostro obiettivo più importante in quanto insegnanti, oltre a impartire conoscenza, è di educare i nostri studenti al meglio nella tradizione italiana di tolleranza e pluralismo”. Come più volte ribadito da docenti e politici di rango, questo “è l’unico modo per vivere insieme nel mutuo rispetto e nella fedeltà a ciò che c’è di meglio nelle nostre tradizioni”.
Ma, un ebreo, per questo esposto a discriminazioni palesi o solo sottintese, si sente offeso o limitato nella sua libertà di docente dalla presenza in aula del crocifisso? Il professor Joseph Weiler, sollecitato a rispondere, non ha avuto dubbi. “Come può un ebreo – ha risposto – obiettare che sia esposto sul muro uno degli ebrei più importante della storia? A parte gli scherzi, ho insegnato spesso in aule simili indossando uno zucchetto. E sono convinto che la maggior parte dei miei colleghi cattolici e dei miei colleghi laici (che ci crediate o no, ho amici stretti in entrambi i campi) non farebbero obiezioni se dovessero insegnare in un’aula con una mezuzah o in un’aula priva di simboli religiosi se fosse questo il desiderio dei loro studenti. Sollevo spesso questo argomento con gli alunni, rendendolo un’occasione per una breve spiegazione del bisogno di tolleranza e rispetto reciproco”.
Personalmente spero che tolleranza e rispetto siano anche i cardini della sentenza che le Sezioni unite della Corte di Cassazione è chiamata a emettere, domani o prossimamente poco importa.
LUCIANO COSTA