Dicono che ci si sposa in pochi ormai, che il matrimonio è diventato una scelta controcorrente, roba da archeologia culturale. Dicono anche che il matrimonio, sebbene faccia bene alla società, non è solo un atto sociale, ma anche un per sempre che è autentico se nasce dal cuore e mette in conto, immaginando di poterli superare tutti, crucci, preoccupazioni, problemi e complicazioni. Per molti, non necessariamente illusi o incapaci di leggere ciò che accade, però i per sempre detti liberamente restano per sempre, e per sempre agiscono”. Poi, nonostante le premesse, la realtà offre panorami diversi, spesso dolorosi e pieni di rancore. Allora, magari credendo di rimediare, interviene la corsa alla separazione, mai semplice, anzi, assai di più complicata, dolorosa e costosa… Ben diversa dall’allegra rappresentazione che di essa ne fa il sistema mediatico dominante.
In tanto travaglio capita anche di leggere qualcosa di diverso e certo non semplice. Per esempio, quel (quasi) appello-proclama che dice: “Uomini e donne che nel mezzo del cammin di vostra vita avete deciso di diventare coniugi e di attraversare insieme fiumi di gioia e di dolore, avversità di ogni tipo e spazi di serenità capaci di accomodare ogni cosa, per favore, non separatevi, cercate rimedi, riannodate il filo del discorso, fate un passo ciascuno verso il punto più favorevole all’incontro… Fatelo innanzi tutto per voi stessi; poi anche per quello Stato che si è preso cura di voi fin dalla nascita… Ogni separazione, infatti, costa allo Stato, cioè a noi, fior di quattrini”. Sebbene sembri tale, questo non è un sermone e nemmeno il tentativo di distribuire lezioni di morale a buon mercato. Semplicemente, è la sintesi di un ragionamento complesso che Julien Damon, sociologo francese di indubbia fama, ha offerto al giornalista andato a intervistarlo sulla opportunità di organizzare veri e propri corsi di coniugabilità, buoni per sanare i dissidi tra coniugi ma anche per far risparmiare allo Stato tremila euro ogni volta.
Julien Damon, che è docente all’Università ed è autore di numerosi libri, studi e rapporti su questioni sociali e familiari, sostiene da tempo che lo Stato francese, che è anche il suo Stato, dovrebbe interessarsi di più al benessere delle coppie, per altro senza troppo preoccuparsi di intromettersi in questioni che non lo riguardano, perché invece sono proprio questioni che, almeno da un punto di vista economico, lo riguardano, eccome lo riguardano. Infatti, sostiene il sociologo “le separazioni costano una fortuna alla collettività. E se è legittimo accompagnarle, altrettanto importante sarebbe cercare di evitarle”. Secondo Julien Damon, mettendo insieme le varie voci che compongono una causa di separazione (assistenza sociale, costi delle procedure, precariato, difficoltà scolastiche dei figli e via discorrendo) i costi per lo Stato raggiungono facilmente i tremila euro. Ragion per cui “qualunque iniziativa che favorisca il mantenimento dello status coniugale potrebbe rivelarsi vantaggiosa per i genitori, per i figli e anche per le finanze pubbliche”. Sul come fare e quando farlo il campo delle opinioni è vastissimo. Il ricorso alla mediazione familiare (via privilegiata di riconciliazione) è già fattibile e sebbene abbia un costo elevato non smette di essere sostenuto. “Ma – domanda il sociologo – se è possibile sostenere gli oneri della mediazione familiare, che serve ad accompagnare le separazioni, perché non prevedere di arricchire questa mediazione con un capitolo dedicato alla prevenzione? L’obiettivo non è mantenere la coppia a qualunque costo, ma aiutare quella che desidera essere aiutata a restare tale”.
Ovviamente, quello che avete letto non riguarda (o non dovrebbe riguardare) gli italiani. Julien Damon, infatti, è francese, parla da francese e ragiona secondo la mentalità francese. Però, nulla vieta che il suo discorso e la sua proposta di mutuo soccorso orientato al mantenimento dello status coniugale possano essere trasferiti, tout court (cioè senza tanti preamboli), alla realtà italiana, che sarà pure ammantata da sani seppur occasionali intendimenti, ma che non è certo diversa da quella respirata dai cugini d’oltralpe. Per entrare nell’ottica suggerita dal sociologo francese bisognerebbe però incominciare a valutare la bontà dello status coniugale partendo da ciò che l’ha favorito – l’amore e l’affidamento reciproco – e non dalla formula giuridica – matrimonio civile o matrimonio religioso – messa lì per sorreggerlo.
E’ un discorso complesso, addirittura ostico, ma anche necessario se si vuole guardare al domani delle coppie con qualche ragionevole certezza. Ho letto da qualche parte che l’idea del matrimonio sta tornando a essere di moda. In attesa di conferma rilancio l’invito del sociologo francese per dar vita, qui e adesso, a veri e propri corsi di coniugabilità, possibilmente buona e duratura. Ne trarrebbero beneficio tutti coloro (e sono sempre tanti) che pur già avviati all’interruzione del rapporto coniugale vorrebbero trovare stimoli e motivazioni per poterlo continuare. Nulla è impossibile, neppure che la medicina proposta da un francese sia gradita e utile a più di un italiano.
LUCIANO COSTA