Al circolino del primo venerdì mercatale post-crisi il tema centrale della disputa ha riguardato il colore da dare al governo Draghi. Per Bortolo il colore più adatto a raffigurarlo sulla scena è il giallo, che suscita fremiti di gelosia e anche di angosciosa attesa per quel che accadrà o non accadrà; per la Rina, diventata anziana in compagnia della falce e martello, c’è solo il rosso, magari leggermente sfumato per offrire quel margine di rosa confetto in grado di addolcire qualsiasi amara pillola; per il professor Giannetto, ciellino della prima e della seconda ora, solo il bianco può dare la misura di un’esperienza che fin dal nascere ha cercato sponda nelle parole di papa Francesco; per le Marie, due, una diversa dall’altra ma entrambe sicure di appartenere alla categoria delle pari inter pares, l’arancione resta un bel colore, intermedio ma vivace.
Fatto notare che i colori indicati erano gli stessi del mosaico che raffigura l’incidenza del virus, gli amici hanno argomentato dicendo che “ormai tutto passa da quella cruna e non c’è da stupirsi se i colori in voga siano quelli e basta”. Quanto alle prospettive che il nuovo governo porta con sé, molte parole buone, qualche distinguo, un sacco di speriamo e feroci critiche a chi non ha avuto il coraggio di gettarsi nella mischia per il bene dell’Italia. “Perché il bene dell’Italia – almeno secondo gli amici del circolino – principia dall’assunzione di precise responsabilità, che per noi incominciano con l’essere responsabili del bene di tutti, nessuno escluso”.
Fu a quel punto che il solito extracomunitario si presentò con la mano aperta sperando che in quell’improvvisato concavo cadessero monete. E il circolino non sin tirò indietro. Ho allora pensato che la generosità espressa, benché visibilmente sollecitata, era la raffigurazione di ciò che noi (se non tutti, quasi tutti) siamo: burberi e brontoloni, ma pur sempre generosi. “Siamo un popolo che si commuove – ha commentato Daniele – e che dalla commozione trova modo di cavar fuori solidarietà genuina, quella che serve per dare senso e sostanza all’idea che dalla crisi non si esce da soli”.
Quella “solidarietà genuina” l’ho vista prendere senso e sostanza al supermercato, quando alla cassa una signora, forse oltre la settantina, dignitosa nel vestire e mite nel parlare, di fronte alle sue compere depositate sul nastro – poche cose, una spesa minima, di chi la spesa la fa tutti i giorni, giusto il necessario – di fronte alla richiesta di pagare ventun euro e ventisei centesimi ha accolto le parole della cassiera scrollando la testa e dicendo “impossibile”. Invece, il conto era proprio quello. Allora, avvicinandosi il più possibile alla cassiera, forse per non far sapere a chi aspettava dietro di lei che c’era un problema, la signora ha sussurrato un “potrebbe togliere qualcosa, per scendere sotto i venti euro?”. Il problema era evidente: lei aveva solo venti euro. “Può pagare con la carta” le ha detto la cassiera. “La banca me l’ha sospesa”, ha risposto.
Non so chi e come ha pagato quei ventun euro e ventisei centesimi, però la signora è uscita dalla gabbia della cassa con la spesa in mano e un sorriso che diceva a chiunque “grazie per la comprensione”.
Ho allora pensato che tutte le grandi cose annunciate, abbozzate e promesse dal nuovo Governo diventeranno concrete realizzazioni solo se e come la “solidarietà genuina” troverà modo di diffondere il suo straordinario profumo. E per accorgersi di quel profumo, il Presidente del Consiglio Mario Draghi non avrà bisogno di maggioranze strabilianti o risicate. Gli basterà scendere in strada, camminare tra la gente e insieme alla gente, respirare gli umori di quel popolo in affanno e poi alzare gli occhi per vedere dove s’annidano le difficoltà così da porvi rimedio.
LUCIANO COSTA