Una volta c’era la fila dei pretendenti alla poltrona di sindaco, adesso la fila c’è ancora, ma senza anima viva disposta a schierarsi in attesa della nomination. Infatti, il mestiere di sindaco non affascina più. Anzi, fare il sindaco è ritenuto pericoloso e nocivo alla salute. Il sindaco amico della gente resta un classico (negli annali della storia egli è collocato su uno scranno nobile, solido, alto e rispettato) e potrebbe continuare a esserlo se ci fosse ancora gente disposta a considerarlo suo amico. Invece, salvo eccezioni, egli è considerato principio e fine di qualsiasi accadimento (buono o gramo ha poca importanza), di qualunque stortura, di qualsiasi buca non rabberciata, di qualsivoglia ritardo nell’erogazione di servizi, di eventuali assensi o dissensi espressi nell’esercizio delle sue funzioni (amministrative, civili, politiche), di qualunque campana che suoni stonata, di eventuali e mai improbabili furbizie pensate o tentate da qualcuno che gli ronza intorno…
Perché se fa e disfa convinto che quello serve al suo paese, basta un cavillo per accusarlo di abuso d’ufficio; e se non fa e non disfa, magari perché impedito da lacci e lacciuoli imposti dalla burocrazia, diventa usurpatore d’ufficio; mentre se inventa soluzioni ardite al fine di sopperire a ciò che le misere finanze pubbliche mai potranno soddisfare, diventa distruttore d’ufficio (nel senso che sovvertendo la logica dell’attese lunga e paziente, egli impedisce il normale corso del cosiddetto lavoro d’ufficio).
“Il bravo sindaco – mi spiegò un giorno il vecchio Giovanni, che avendo fatto il sindaco per vent’anni era pratico del mestiere – è quello che ancor prima di incominciare a fare il sindaco va dal giudice e gli chiede fino a che punto potrà fare il sindaco senza correre il rischio di essere accusato di tutti i misfatti eventualmente in circolo nel paese a lui affidato”. Scherzava il buon Giovanni, ma voleva anche dire che il rischio di finire sul banco degli accusati era parte integrante del mestiere di sindaco. Però, almeno in quei tempi, c’era chi, nonostante tutto, accettava il rischio e faceva il sindaco. Adesso, il solo pensiero di fare il sindaco è ritenuto sintomo di profonda malattia…
Però ieri ho incontrato un tizio che, forse ritenendomi depositario di usi e costumi consolidati dagli anni, mi ha chiaramente detto che la sua massima aspirazione era quella di fare il sindaco, dove e come non aveva importanza. Mi è allora tornata alla mente la pagina in cui Platone insegna a rispettare le leggi delle proporzioni dicendo apertamente che se a chicchessia “si dà qualcosa di troppo grande o qualcosa di troppo piccolo ne viene un inconveniente, per non dire, un disastro”. Per esempio, dice Platone, come accadrebbe nel “dare una vela troppo grande a una barca troppo piccola, un pranzo enorme a uno stomaco troppo piccolo, un potere troppo grande a un servitore incapace”. Certo, le sproporzioni si possono verificare ovunque, anche e soprattutto sul sentiero degli uomini, almeno di quelli che tra le loro priorità mettono quella di fare il sindaco, ma conoscendole si possono anche evitare.
Tanti anni fa, ma proprio tanti, un modo per evitarle consisteva nel sottoporre coloro che volevano diventare sindaco alla prova delle scarpe. Vale a dire: per risparmiare si comprava in paese un solo paio di scarpe, che il sindaco avrebbe messo quando doveva andare a rendere omaggio alla città capoluogo di provincia. Naturalmente, racconta il cronista, i paesani compravano le scarpe più grosse perché potessero entrare tutti i piedi, ma anche ricorrendo a quell’artificio popolare non eliminavano l’inconveniente di martirizzare i piedi più piccoli. Quindi, piedi grossi e piedi piccoli, pur tra mille sofferenze, avevano le stesse probabilità di diventare i piedi del sindaco. Lo stesso valeva per le teste. Infatti, anche allora non esisteva un comune regolatore per la testa del sindaco e qualunque fosse la sua dimensione si trovava in fretta il cappello più adatto a coprirla.
Ho scherzato, ma neppure tanto, per dire che oggi trovare qualcuno disposto a fare il sindaco è davvero complicato. Così, l’individuazione dei candidati a sindaco nelle grandi città – si voterà nel prossimo autunno – è uno dei problemi più evidenti. Questione di classe dirigente che non c’è o che se c’è guarda ben oltre l’ambito locale. In più c’è la casistica che mina alla radice il mestiere di sindaco. Tagli alle risorse e grandi deficit da gestire; eccesso di vincoli burocratici e moltiplicazione del “rischio giudiziario”; retribuzioni del tutto inadeguate rispetto ai compiti e alle responsabilità: sono questi i motivi principali che rendono sempre meno appetibile la carica di sindaco. E se il vento non cambia, se cioè il potere costituito non porrà rimedi, sarà sempre peggio.
Eppure, senza un sindaco non si può stare. E’ quindi urgente “tornare a rispettare e valorizzare maggiormente il livello istituzionale più vicino ai cittadini”, che è quello assegnato al sindaco. E appunto per questo un Sindaco merita sempre rispetto.
LUCIANO COSTA