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Le ombre (rosse) del passato…

Quel passato dimenticato ma mai cancellato è riaffiorato ieri proiettando sul grande schermo della vita le immagini dei sette malvagi terroristi rossi (alcuni appartenenti alle brigate rosse, altri a lotta continua, un altro ai nuclei armati contropotere territoriale) finalmente arrestati e assicurati alla giustizia e di altri tre in fuga ma ormai privati di protezione e immunità. Ieri, la Francia permissiva disegnata dall’allora presidente Mitterand, che del garantismo libertario aveva fatto bandiera, ha smesso la sua funzione protettiva e assunto quella di garante del diritto. Così, quelli che avevano seminato terrore sparando e uccidendo, che poi erano fuggiti dandosi alla macchia come solo i briganti sanno fare, quando già pensavano di poter aggiungere al loro status la qualifica di prescritti, quindi non più perseguibili, hanno invece misurato il peso della Giustizia.

I primi sette arrestati (primi, perché altri devono ancora essere assicurati alla giustizia) si chiamano: Giovanni Alimonti, brigate rosse, condannato per tentato omicidio di un dirigente Digos; Enzo Calvitti, brigate rosse, condannato per associazione sovversiva e terrorismo; Roberta Cappelli, brigate rosse, condannata all’ergastolo quale autrice di tre omicidi; Marina Petrella, brigate rosse, condannata all’ergastolo per l’omicidio di un generale dei carabinieri; Giorgio Pietrostefani, lotta continua, condannato per l’omicidio del commissario Calabresi; Sergio Tornaghi, brigate rosse, condannato all’ergastolo per l’omicidio di un dirigente della Ercole Marelli; Narciso Manenti, nuclei armati contropotere territoriale, condannato all’ergastolo per l’omicidio di un carabiniere.

I tre che per ora mancano all’appello, in fuga ma ormai a fine corsa sono: Luigi Bergamin, uno degli ideologi dei Pac (il gruppo armato di Cesare Battisti, terrorista, prima accettato in Francia e poi, braccato dalla giustizia, fuggito in Brasile e da qui estradato e messo a disposizione della giustizia italiana dopo lunghi anni di attesa e di infinite mistificazioni legali), condannato all’ergastolo per due omicidi; Maurizio Di Marzio, brigate rosse, condannato per aver partecipato al tentativo di sequestro di un poliziotto; Raffaele Ventura, brigate rosse, condannato insieme ad altri 8 per l’omicidio di un vicebrigadiere avvenuto il 14 maggio del 1977 a Milano.

Anni di piombo, di paura e di sangue di cui ieri sono riemersi i terribili contorni…

Allora la mia generazione misurava gli anni senza altra preoccupazione se non quella di renderli belli e piacevoli. Per tanti erano anni ruggenti, per pochi, ma in realtà dannosi quanto lo possono essere tanti violenti messi insieme, erano solo anni di piombo. “Lo Stato siamo noi”, gridavano gli arrabbiati figli di una rivoluzione che nulla aveva da spartire con la ragione e la buona politica, “perché noi siamo la rivoluzione, l’antistato, la democrazia proletaria…”. La cronaca di quei giorni era spesso costretta a colorarsi di rosso sangue: un colpo di pistola, una sventagliata di mitra, una bomba e il carabiniere, oppure il poliziotto, o il magistrato, un qualsiasi cittadino, magari il politico che non stava dalla loro parte, che difendeva la Libertà e la Democrazia o che invocava Giustizia erano già morti.

Anni di piombo e di paura, di stragi e di agguati: tanti, uno diverso dall’altro, ma tutti imbevuti dello stesso odio e della violenza più aberrante. Tra i tanti (e l’elenco era drammatico, e la fila dei nomi di morti e feriti mai conclusa, e il dolore di mogli, figli, parenti e amici mai sopito), emblema di perversione e di odio smisurato, quello ordito contro Aldo Moro, statista democristiano, politico del dialogo e del confronto con tutti, uomo mite e buono, lui rapito e i cinque uomini della sua scorta morti ammazzati, lui prigioniero per cinquanta giorni, giusto il tempo perché le belve che lo custodivano volendo usarlo come merce di scambio, decidessero la sua fine – “il martirio di un uomo giusto” – col suo corpo gettato in pasto alla città chiuso nel bagagliaio di un’automobile sgangherata.

Anni senz’anima… E la cronaca costretta a raccontare e a prendere atto che le belve assetate di sangue colpivano, si nascondevano e fuggivano celandosi dietro l’aberrante stella a cinque punte. Allora le piazze erano contrappuntate da celerini in assetto di guerra e da giovanotti accuratamente mascherati. Allora… Era difficile, per chiunque non appartenesse alle “estreme”, prendere la parola e concludere discorsi; era il tempo in cui i capi delle agitazioni studentesche brandivano le aste delle bandiere come clave e non come simbolo democratico di appartenenza; erano giorni in cui si doveva girare al largo non solo dalle manifestazioni ma anche dai cestini portarifiuti, i preferiti per eventuali depositi di materiale esplosivo, giorni in cui se non eri rosso o nero venivi classificato un servo del potere, che allora era sempre e solo democristiano. “E bastava lo squittio di un topo di fogna per gettare nello scompiglio le pur consistenti schiere di ferventi democratici” commentò un partigiano che la libertà e la giustizia le aveva difese sulla montagna insieme ai ribelli per amore.

Adesso, qualcuno ricorda, altri guardano altrove, molti si interrogano sul quel che è accaduto e anche sul possibile ritorno di una stagione brigatista, che seppure già squalificata dalla storia, dalla ragione e dal popolo, cerca d’infiltrarsi subdolamente e con nomi diversi e nuovi tra le pieghe del nostro vivere quotidiano. Adesso è solo necessario sentirsi quella città dell’uomo in cui ognuno fa la sua parte per assicurare benessere, pace, libertà e giustizia a chiunque voglia abitarla. Perché questo e non altro è la radice dell’autentica democrazia.

Però, ammonisce il saggio “ogni democrazia vive del fatto che gli uomini che la sostengono non rinuncino alla speranza di riconoscere ogni giorno il veleno antidemocratico che le viene sparso intorno”. Ieri in Francia è stata chiusa una pagina di storia drammatica. Altre rimangono aperte, ma nessuna sarà chiusa se prima non sarà scritta su ognuna la parola Giustizia.

LUCIANO COSTA

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