Nel piccolo della piccola frazione l’ortatorio era il luogo privilegiato per incontrarsi, giocare, intrecciare amicizie, crescere alla vita e dare alla vita valori e significati che la comunità civile, ancora impegnata a medicare le ferite della guerra e a immaginare come organizzare uno sviluppo che consentisse a tutti di immaginare un futuro diverso e migliore, non era in grado di assicurare. Allora toccava alla parrocchia e ai preti che la rendevano ogni giorno casa-comunità aperta e ospitale fare in modo che nessuno fosse escluso. E se la chiesa parrocchiale era il centro verso il quale la gente volentieri confluiva, l’oratorio rappresentava l’appendice ideale dell’accoglienza, della condivisione, “del fare insieme – diceva il prete – tutto quel che è necessario per garantire un luogo in cui bambini ragazzi giovani e non più giovani, famiglie e nonni si sentano davvero protagonisti”. L’oratorio era di tutti e tutti erano chiamati a viverlo mettendo a disposizione entusiasmo, idee, disponibilità e braccia, ciascuno con le proprie peculiarità e possibilità, perché solo insieme sarebbe stato possibile garantire alla struttura oratoriana – quattro stanze costruite in economia, buone essere sale di riunioni e aule di catechismo, con attorno spazio verde per i giochi e l’immancabile campo di calcio, senza pretese ma ideale per scorribande pedatorie di altissimo valore agonistico – di essere al tempo stesso luogo di s vago e di formazione alla vita.
Altri tempi. Vero. Però, lasciatemelo dire, non in maniera così evidente e così lontana come qualcuno vorrebbe. Infatti, dove c’è un oratorio c’è la certezza che lì esiste e traffica un’officina in cui si forgiano generazioni perché siano in grado di essere protagoniste del loro futuro. Un paio di anni fa un don (uno qualsiasi, giovane anche lui e quindi ideale dispensatore di entusiasmo) incaricato dal vescovo di sovrintendere all’essere e al divenire degli oratori della sua diocesi, invitato a delineare che cosa l’oratorio fosse in grado di dare ai giovani d’oggi, rispose dicendosi certo che che quel piccolo centro di incontro e di gioco “metteva nel cuore dei giovani la bellezza di sentirsi a casa e questo perché le relazioni, il tempo, le dinamiche vissute al suo interno educano a questo”. Dunque ieri come oggi l’oratorio “deve continuare ad essere un tempo e un luogo dove chi lo vive possa trovare dimora, possa sentirsi al sicuro, possa mettere lì, per qualche tempo la sua vita”.
Due anni disastrati dal virus pandemico hanno costretto gli oratori a fermarsi, ma mai ad annullare il loro valore di riferimento e di proposta. In questi frangenti di sofferenza qualcuno ha definito l’oratorio una radura dell’educare. Oggi, in questa radura torna a crescere la voglia di fare insieme, di crescere alla vita dando significati importanti all’essere e al divenire. Gli oratori come luogo privilegiato per ridare forza e sostanza alla speranza di ricominciare il cammino che il virus ha soltanto interrotto? È ancora presto per dire che sarà così, ma quel che è certo è che c’è e si vede “un grande fermento, una bella progettualità educativa e un entusiasmo diffuso”. Consegue che “l’oratorio estivo può e deve essere profetico, addirittura superiore alle attese, non soltanto uno spazio, ma un luogo del cuore”. E se il Covid ha fortemente provato i ragazzi, costringendoli alla didattica a distanza, a non fare sport e a ridurre le occasioni di aggregazione, a ripiegarsi su se stessi, adesso l’oratorio aperto e accogliente diventa di nuovo il cuore della comunità che cresce e spera giorni nuovi e belli. Come ha scritto quel pretesopra ricordato “l’oratorio offre la bellezza di sentirsi a casa, ma sono convinto che anche gli stessi giovani devono offrire all’oratorio la possibilità di far emergere questa sua specifica vocazione, che il desiderio e il bisogno dei giovani deve sempre di più dare un volto vero all’oratorio. Se è vero che le dinamiche dell’oratorio rientrano nel ritmo di una casa, è anche vero che sempre di più chi lo abita suscita la particolarità e la forza di questa esperienza… mi piace dire che oratorio e giovani si educano a vicenda, crescono insieme, trovano la loro vocazione camminando di pari passo”.
Dentro questo processo, che è l’immagine fondamentale dell’oratorio, c’è cresce e si sviluppa la corresponsabilità nell’educazione. E corresponsabilità significa “ascolto dei giovani, perché anche loro possano dire alla comunità che li ospita da che parte è meglio andare”.
Gli oratori riaprono e riaccendono la speranza: per tutta l’estate saranno per tutti senza distinzioni, casa e luogo di incontro, oasi attrezzate per far dimenticare il tempo della solitudine imposta e del vivere a distanza. Secondo una statistica recentemente diffusa, in Italia si contano 8.245 oratori, 5.637 dei quali effettivamente operanti e accertati. Questo consente di dire che l’88% delle Diocesi (addirittura il 94% di quelle che riguardano il Nord) ha già previsto l’apertura quotidiana degli spazi oratoriani; che l’83% degli oratori italiani (89% al Nord, ma solo 74% al Sud) svolge con regolarità attività di doposcuola; che il 93% degli oratori (89% al Nord, 93% al Centro e addirittura il 97% al Sud) prevede e garantisce le attività estive; che l88% degli oratori organizza campeggi e campi scuola durante l’estate (al Nord sono il 94%, al Centro l’86% e al Sud l’82%).
Se qualcuno pensa che gli oratori siano “roba da preti” si sbaglia di grosso. “Bambini, ragazzi, giovani e non più giovani che vengono all’oratorio – mi ha detto ieri un prete che la sua vita la consuma volentieri tra campi e aule fatti apposta per accogliere grandi e piccini – formano un arcobaleno di razze, religioni e convincimenti diversi. Però, qui c’è posto per tutti. E nel rispetto chiesto e ricevuto c’è il segreto della buona riuscita”.
Chi, come me, è cresciuto frequentando l’oratorio sa che è tutto vero. Gli altri, magari scettici e dubbiosi, potrebbero provare rimandando al dopo verifica ogni commento.
LUCIANO COSTA