Oggi il rischio è quello di finire con la testa nel pallone (ricominciano i campionati di calcio e le parole si sprecano attorno a campioni e finti campioni ai quali è chiesto di far sognare e tremare) o, in alternativa, di restare con la voglia di ricominciare contando i tifosi che andranno allo stadio e con scarsissima voglia, invece, di misurarsi con le tragedie – in particolare quella che tocca l’Afghanistan in balia dei talebani e quella che di Haiti racconta morti e miseria causati da terremoto e tempeste – che stanno scuotendo il mondo. Una nota di agenzia apre i servizi dedicati al mondo in subbuglio evidenziando la più ovvia delle ovvietà. E cioè che “si attendono le decisioni dei governi occidentali sulle strategie da mettere in campo per accogliere le migliaia di persone in fuga dall’Afghanistan…”.
Casualmente presente a Edolo, cittadina della montagna bresciana e luogo indicato come possibile asilo per un centinaio di profughi afgani, ho respirato sia la preoccupazione della gente, espressa con domande pertinenti ma anche impietose (quanti ne arrivano? per quanto tempo rimangono? chi li mantiene? chi li assiste? chi li controlla? siamo sicuri che tra loro non vi sia qualche talebano?), sia la soddisfazione di poter prestare una minuscola fetta del proprio paese a chi è stato privato di tutto. “La montagna insegna a esercitare solidarietà senza chiedersi per chi e nemmeno per come – mi ha detto un pensionato -. Qui infatti abbiamo spazio e, soprattutto, quella che una volta era una caserma poi trasformata in casa di vacanze per militari. Cento afgani in cerca di futuro ci stanno e sono benvenuti”. Subito dopo, una signora sicuramente già arrabbiata per questioni sue, ha ripetuto quel “a casa loro” che probabilmente aveva sentito dire da illustri esponenti della politica.
Edolo per caso, ma poi anche Mazara del Vallo, che ha messo a disposizione diverse strutture, Marsala, che ha aperto ai profughi una sua parrocchia, la Caritas di Bari-Bitonto, che ha attivato le sue forze per aprire corridoi umanitari, alcuni sindaci, che si sono dichiarati pronti ad accogliere e assistere… Forte anche il richiamo della Fondazione Migrantes, voce dei cattolici impegnati nel mondo della solidarietà, che di fronte al dramma ripropone “un’azione comune europea nel Mediterraneo che ai controlli unisca il salvataggio, il riconoscimento e la tutela di coloro che hanno diritto a una protezione internazionale”. Piccoli gesti, però significativi. Magari anche utili a non lasciarsi sopraffare da “Eupalla”, diva incosciente del calcio giocato e soprattutto gridato.
Daniele Mencarelli, sicuramente un fine pensatore oltre che commentatore di usi e costumi, per riflettere e far riflettere su ciò che sta accadendo in questo mondo in quieto, ha messo in primo piano i versi con cui Ezra Pound (li trovate nei suoi memorabili Cantos) ha disegnato gli umori della gente del suo tempo. Il poeta statunitense li ha scritti tra il 1915 e il 1962, ma sembrano fatti apposta per l’oggi che stiamo vivendo. Dicono: “M’amour m’amour / cos’è che amo e dove sei? / Ho perso il mio centro / a combattere il mondo. / I sogni cozzano / e si frantumano / e che ho cercato di costruire un paradiso terrestre. / Ho provato a scrivere il Paradiso, / Non ti muovere, lascia parlare il vento / così è il Paradiso, / Lascia che gli dei perdonino / quello che ho costruito, / chi ho amato cerchi di perdonare / quello che ho costruito, / uomini siate, non distruttori”.
Seguono righe di rara forza propositiva, tutte per dire “uomini siate, non distruttori”, per offrire spunti su cui riflettere. “Di fronte alla storia che si ripete – scrive Daniele Mencarelli -, ai corpi che piovono dal cielo, vent’anni fa dalle Torri gemelle, oggi da un aereo cui ci si è aggrappati come unica speranza di sopravvivenza, queste parole urlano nel petto, chiedono di percorrere il pianeta intero come tuono di Dio. Ho provato a scrivere il paradiso: ma la storia è un sicario che non sbaglia mai il colpo. L’Afghanistan è il trionfo di chi ha perso il suo centro, e distrugge, combatte il mondo, invece di costruire quel paradiso incredibilmente possibile. Quelli che ci hanno amato, in quelle terre dove il conflitto è perenne, cerchino di perdonarci. Per tutte le parole tronfie, le promesse di democrazia, la libertà che fischia nell’aria come sibilo di bomba. Perdonateci per avervi fatto credere in una fratellanza possibile, oltre le culture e le latitudini, perché il sangue è uno come il sorriso di chi ancora bambino non capisce. Scappiamo dai nostri disastri, senza sapere nulla di quello che abbiamo fatto. Sappiamo solo l’inferno che dal nostro cuore tracima nel mondo. La nostra sete maligna, come la storia, infallibile”. Poi la conclusione che sottolinea come sia facile mettere “il potere al posto del paradiso” e anche offrire “l’interesse particolare mascherato da civiltà”. Allora, di nuovo, risuona l’ammonimento: “Uomini siate, non distruttori”. Vale a dire: siate uomini e non distruttori. Ma dove? Semplice: “In tutte quelle terre dove non sorge mai alba di pace”.
LUCIANO COSTA