I giovani, questi sconosciuti! Sono il presente e il futuro, ma stanno fuori, o ai margini, della società che dovrebbero governare; sono iper-tecnologicizzati, ma non vedono oltre la punta del naso; dispongono di nozioni e hanno dimestichezza con le fonti del sapere, ma preferiscono mostrarsi ignoranti (di non sapere, insomma) in modo da restare impunemente fuori da ogni impegno; sono meravigliosi, generosi, bellissimi, ma poi, con somma disinvoltura, si fermano all’apparenza; hanno una risposta pronta per ogni evenienza, ma purtroppo il riassunto delle loro risposte equivale spesso a un deludente “ma chi se ne frega”; vogliono chiedono desiderano contare ed essere protagonisti del loro futuro, però senza fretta e senza troppa voglia di mischiarsi ai problemi, magari con l’intenzione dichiarata di provare a risolverli; sognano un mondo in cui ci sia posto per loro e lavoro per tutti, ma se vengono invitati a ragionare sul “come fare” si defilano, lasciano il campo a quei due-tre-quattro che per fortuna ci sono, che sopravvivono al disinteresse della massa e che costruiscono ragioni politiche degne di essere ascoltate, difese e portate in piazza. Ai giovani che domani andranno a votare verrà chiesto di usare il voto per rendere migliore il Paese. Ma, quanti di loro andranno a votare? E se è vero che “i giovani non sanno quello che i vecchi hanno già dimenticato”, chi li orienterà al voto piuttosto che alla fuga? Del rischio che i giovani e giovanissimi diventino gli attori principali dell’astensionismo ha scritto l’altro ieri Diego Motta su “Avvenire. Vi propongo di leggere e di dare il via a opportune riflessioni.
LUCIANO COSTA
Se la generazione “Z” si astiene…
La grande paura è la diserzione di massa. Se il primo partito il prossimo 25 settembre sarà l’astensione, come dicono oggi tutti gli istituti di ricerca, è la generazione Z, i nati dopo il 1997, a preoccupare. Perché le urne vuote per chi ha appena compiuto 18 anni sarebbero un segnale chiaro di disaffezione verso il Paese, un messaggio lanciato alla classe dirigente tutta: non ci rappresentate. Nonostante l’invasione di massa dell’ultim’ora dei leader politici negli spazi virtuali frequentati dai giovanissimi, la tentazione di tirarsi fuori è alta. È proprio la mancanza di credibilità e di autenticità del teatrino messo su in questo mese di campagna elettorale, a essere finita all’indice. Attenzione: questo non vuol dire che non esista una minoranza di giovani e adolescenti impegnati, che ci crede. A loro, in particolare, si rivolgeranno le sirene delle formazioni politiche nelle prossime, decisive quattro settimane. Però la semina di idee, messaggi e proposte sarà tutt’altro che facile e bisognerà evitare l’effetto boomerang.
D’altra parte, è da tempo che i più giovani manifestano segnali di lontananza dalle istituzioni: secondo gli ultimi rapporti dell’Istituto Toniolo (Università Cattolica) due under 30 su tre pensano che la situazione in Italia sia peggiore rispetto al resto d’Europa. «La quota di giovani distaccata dalla politica può essere stimata vicino al 20% – afferma il ‘Rapporto Giovani’ dell’Istituto Toniolo – ed è legata al disagio socioculturale e alla scarsa fiducia nelle istituzioni». La rilevazione di Swg di inizio agosto quantificava in un 42% le persone astenute o non sicure di andare a votare. Mettendo in fila le motivazioni di questa scarsa propensione a recarsi alle urne, spiccava al secondo posto il fatto che «votare non serve a nulla», pensiero assai condiviso dalla generazione Z. Proprio il target 18-34 anni raggiunge il 48% tra le categorie con minor ‘disponibilità’ ad andare ai seggi, esattamente all’opposto di over 54 e pensionati.
Su una panchina di un paese della provincia di Milano, Federico e Yuri stanno ascoltando un brano di musica trap. Si parla di vacanze, delle ultime serate, si accenna a quel che si farà dopo la Maturità appena presa. Il voto del 25 settembre non è tra gli appuntamenti contemplati. Si fanno al massimo battute su Salvini, Meloni, Letta. Nulla di serio, però. Il politico è valutato alla stregua di un influencer, più o meno (molto spesso, meno) efficace. «Quanto è credibile un politico che si crea adesso un profilo sui social, per catturare la mia attenzione?» si chiede ad esempio Francesco, che ha visto scendere nell’arena virtuale candidati di cui non conosceva neppure il nome.
Circola un video su Tik Tok, tra i più giovani, girato meno di un mese fa. Si vedono i volti in carrellata di 25-30enni, intercettati per strada in una periferia di Roma. Quel che colpisce è il grado di rassegnazione. Davanti alla telecamera si alternano studenti e lavoratori. «Il problema principale è l’Italia» dice il primo, che fa intendere una sfiducia totale nel futuro del Paese. «Votare? Semplicemente non mi interessa… Tutti dicono la stessa cosa, poi non fanno nulla. Quindi non voto e faccio prima».
A queste latitudini, la campagna elettorale è come se fosse non pervenuta. Non interessa, semplicemente, anche se ci sarebbe ancora tempo per informarsi, farsi un’idea, discutere. E poi decidere. Si oscilla tra la voglia dispersa da qualche parte di provare a contare ancora e chi ha già deciso: i seggi non mi avranno. «Scelgono loro… io no» dice un altro, finché non si presenta un ragazzo dall’aspetto impegnato. «Sceglierò il meno peggio, non votare non è la soluzione» spiega. Insomma, c’è chi tenterà di restare sul pezzo, seguendo la giostra impazzita del voto, e chi ha già disattivato le antenne. «Auguro a tutti di cambiare Paese» spiega un altro intervistato, che poi accenna a una spiegazione. «I partiti nutrono un sacco di false speranze». Il dibattito sui social non manca e più di uno fa notare che «è inutile che ci fanno votare, se poi ogni volta mettono un governo tecnico…».
Come leggere questa grande disillusione? Come giustificare l’avvio anticipato dell’autunno dello scontento (giovanile)? «Ce stanno a fa’ morire di fame» sintetizza l’ultima voce. Secondo Lorenzo Pregliasco, esperto di comunicazione “la politica fa molta fatica a connettersi coi giovani, non da oggi”. Con l’affluenza attesa a livelli più bassi della precedente tornata, è praticamente certo che l’astensione sarà il primo partito: un conto è calcolare in valore assoluto il 30% sugli aventi diritto, un altro è farlo, sia pur con lo stesso 30%, sul totale dei voti validi, che è più basso. Il nodo da sciogliere è quello che gli addetti ai lavori chiamano “l’ecosistema informativo fluido”. Per l’esperto “i nostri giovani non hanno, per la maggioranza, convinzioni forti e vivono dentro un palinsesto in cui tutto finisce per intrecciarsi…
Poi c’è l’elemento familiare, che pesa in modo diverso rispetto al passato, perché c’è chi guarda alla politica attraverso le lenti dei giovani: a volte sono madri e padri a seguire i figli influencer. «Per la generazione Z, la partecipazione politica è legata a singole issue, a singoli temi, un po’ come avviene come nei consumi culturali. Siamo alla politica on demand, con un 10% di elettori, anche tra i più giovani, che deciderà cosa fare all’ultimo momento». Voto last minute e grande volatilità, con giravolte possibili sulle scelte dei partiti, saranno dunque l’altro aspetto determinante. «Sul voto di settembre c’è grande indecisione… Leggo da uno studio della Luiss che “i giovani costituiscono circa un terzo di coloro che sono incerti su chi votare”. D’altra parte la campagna elettorale non è ancora entrata nei temi a loro cari, come il lavoro, il caro energia, l’università, l’Erasmus. “Ho comunque la sensazione e il timore – dice l’autore dello studio – che l’astensione giovanile sarà maggiore di quella degli adulti. Sono molto pochi i ragazzi interessati alla politica fatta dai partiti, eppure sono tanti coloro che fanno volontariato e svolgono attività di impegno civico. La politica non riesce più parlare ai giovani e infatti solo l’1% di loro è iscritto a un partito”.
Quanto al voto che i giovani e i giovanissimi esprimeranno, se lo esprimeranno, il prossimo 25 settembre, è buio assoluto. Al momento prevalgono chiacchiere e si sommano preferenze in continua evoluzione, spesso condite con un misto di curiosità e diffidenza nei confronti della politica e dei suoi simboli: simboli di un mondo che i giovanissimi continuano a sentire lontano, non loro e neppure avvicinabile.
DIEGO MOTTA