Non esiste un tempo stabilito per fare politica e un altro per mettersi in un cantuccio ad aspettare che tutto passi e finisca. Quindi, benché ritenga esagerata la presunzione di restare primi nonostante gli acciacchi e gli anni (accettare di esserci e di portare grani di saggezza è lodevole, usare l’età avanzata come diritto a dettare comportamenti e scelte è semplicemente un’assurda e ingiustificata pretesa) non mi disturba vedere vecchi e anziani disposti a mettere il loro tempo a disposizione della politica. Però, appurato che in troppi casi qualcuno, chicchessia, ha chiesto alla politica di servirlo piuttosto che mettersi lui a servire la politica (un bisticcio di parole per dire che uno o una, chicchessia, non può galleggiare sempre e comunque traendo beneficio dalla politica), vorrei che vetusti e vetuste si dedicassero alla politica sentendosi come solo i bravi nonni sanno esserlo: necessari ma non invasivi, utili ma senza pretese, disponibili ma anche pronti a farsi da parte, rintracciabili ma solo per servire e mai per essere serviti, sorridenti e lieti perché sorridendo e spandendo lietezza faranno crescere nipoti forti, generosi e coraggiosi.
Se questa sia solo utopia non lo so… Però, vorrei non lo fosse. Anzi, vorrei che ai “grandi vecchi” fosse chiesto di restare per garantire al presente di specchiarsi nel tanto di buono lasciato in eredità dal passato e magari usarlo per disegnare un buon futuro per tanti se non per tutti. Allo stesso modo, vorrei che i “grandi vecchi” mettessero in conto anche l’eventualità di non essere più all’altezza dei compiti richiesti e valutassero quindi l’opportunità di lasciare spazio alle nuove generazioni. “Resto fin che servo” disse un giorno lontano Sandro Pertini. Lo disse quando, arrivato al rifugio delle Lobbie, in Adamello, per salutare il suo amico papa Giovanni Paolo II, che proprio lì aveva deciso di stupire gerarchie e tradizioni ecclesiastico-vaticane, ma anche il mondo intero, sostituendo la bianca tonaca con la tuta, utile per lasciargli godere la sciata più bella, sollecitato a mettere gli sci rispose che avendo ancora questioni politiche da sbrigare a Roma non poteva rischiare di dover restare su quel “bel pian di neve” più del necessario. Insomma, disse, “resto qui fin che servo…” per permettere all’Amico Papa di sciare in libertà.
Ho ripensato a quel “resto fin che servo” pronunciato dal buon Sandro Pertini (un “grande vecchio”, saggio e arguto come pochi altri) mentre ascoltavo il vecchio Cavaliere di Arcore, ovvero il Silvio Berlusconi dalle sette vite e mezza, annunciare la sua nuova “discesa in campo politico come candidato al Senato della Repubblica con la certezza di accumulare talmente tanti voti da portare la sua coalizione (un centro-destra decisamente orientato a destra) finalmente di nuovo al Governo. Gli ho riservato l’augurio di essere felice nei suoi tanti anni e nelle sue tante ricchezze indipendentemente dal numero dei voti raccolti, che essendo segreti, salvo furbate, restano non commerciabili.
Gli ho poi anche idealmente raccomandato di leggere quel che papa Francesco aveva appena detto nel corso dell’udienza dl mercoledì. E cioè che “la sicumera di fermare il tempo, volere l’eterna giovinezza, il benessere illimitato, il potere assoluto, non è solo impossibile, è delirante”. Francesco lo aveva detto con semplicità e tanta umiltà, da vecchio saggio, quindi convinto che la vita è quella che ci è donata e mai quella sognata, ed è così bella, misteriosa e nobile che non esiste moneta per comprarla. “La vecchiaia è nobile – aveva sottolineato il Pontefice -, non ha bisogno di truccarsi per far vedere la propria nobiltà: forse il trucco viene quando manca nobiltà. E il tempo passa, ma questo non è una minaccia, è una promessa”. Infatti, aggiungeva “la vecchiaia è la fase della vita più adatta a diffondere la lieta notizia che la vita è iniziazione per un compimento definitivo. E il meglio deve ancora venire… La vecchiaia conosce definitivamente, ormai, il senso del tempo e le limitazioni del luogo in cui viviamo la nostra iniziazione. “Per questo essa è credibile quando invita a rallegrarsi dello scorrere del tempo: non è una minaccia, è una promessa…”.
Invece, “una vecchiaia che si consuma nell’avvilimento delle occasioni mancate, porta avvilimento per sé e per tutti. Ma la vecchiaia vissuta con dolcezza e rispetto per la vita reale scioglie definitivamente l’equivoco di una potenza che deve bastare a sé stessa e alla propria riuscita. Scioglie persino l’equivoco di una Chiesa che si adatta alla condizione mondana, pensando in questo modo di governarne definitivamente la perfezione e il compimento…”.
Francesco parlava per sé, ma anche per me e per tanti che ormai devono ubbidire all’età che avanza. E la sua era una vera e grande lezione. Infatti, spiegava “la nostra vita non è fatta per chiudersi su sé stessa, in una immaginaria perfezione terrena: è destinata ad andare oltre…”.
Chissà se la lezione giungerà a destinazione. Spero proprio di sì.
LUCIANO COSTA