(MA CREMONA AVEVA TITOLI PER PARTECIPARE ALLA FESTA)
Ci voleva una bambina curiosa, di quelle che a guardarle regalano gioia e aprono il cuore alla speranza di giorni migliori, per offrire agli adulti una lezione di bellezza – anzi: di grande bellezza – senza eguali, che a pensarla apposta non avrebbe certo sortito il medesimo effetto. Tutto in un fotomontaggio, che Matilde (un nome preso a prestito, ma significativo se si considera che dentro conserva il fascino di nobiltà e di scoperte di un passato glorioso e mai tramontato) ha realizzato dopo aver scoperto, grazie alle lezioni on-line della cremonese Amanda Mazzucchi il mondo misterioso e affascinante della liuteria. Nel fotomontaggio di Matilde la Vittoria Alata, simbolo intramontabile di Brescia, grazie allo straordinario strumento che l’accompagna – forse uno Stradivari, il Lady Blunt per esempio, oppure un Guarneri, quello detto Cannone o quell’altro detto Vieuxtemps, tutti quotati milioni di dollari mica briciole – diventa una raffinata, abilissima e colta violinista, pronta ad offrire al grande pubblico il più entusiasmante concerto che mente umana abbia immaginato.
Quella era la grande bellezza di Cremona che invitava a nozze la pari grado di Brescia o era la città che si fregia del titolo di Leonessa d’Italia che invia il suo ruggito alla città del Torrazzo chiedendo udienza e ascolto? A mio modestissimo parere, essendo vero l’invito della prima e reale il ruggito della seconda, le due eccellenze – la Divina millenaria da una parte e il pluricentenario Strumento che produce suono incomparabile dall’altra – meriterebbero d’essere destinatarie dell’esatto contrario di ciò che i bravi del nobile Rodrigo volevano imporre al povero e smarrito don Abbondio. E cioè, non “questo matrimonio non s’ha da fare, né domani, né mai” bensì un lodevole e ben augurante “questo matrimonio s’ha da fare, se non ora, almeno domani”. Scherzi a parte, con tante scuse al Manzoni, perché non immaginare possibile che Cremona e Brescia, città divise da una lingua di terra e da una lingua parlata che di differente ha, tutt’al più, languidi trascinamenti di vocali e consonanti, mettano in comune la grande bellezza di cui dispongono?
In verità, a mettere in comune il meglio posseduto in fatto di arte, architettura, musica, storia e politica le due città ci avevano già provato, Accadde, se la memoria non mi tradisce, in campagna elettorale, quando i due allora candidati sindaci – Galimberti e Del Bono -, in perfetta simmetria parlarono delle (tante) cose che univano e delle (poche) che dividevano. Allora i due ragionarono anche di progetti a lungo termine, compreso quello che prevedeva di unire gli sforzi per candidare le due città a Capitale italiana della cultura 2023. Una bella ipotesi, forse addirittura troppo bella, però non a sufficienza per essere sposata e condotta all’altare per il fatidico sì. Infatti, l’idea restò fanciulla e, come spesso succede alle fanciulle in fiore, cambiò le sue mire: non con Cremona, bensì con Bergamo avrebbe condiviso il suo talamo. La cronaca, becchino e levatrice del tempo, ha già raccontato che Brescia e Bergamo hanno conquistato il titolo di Capitale italiana della cultura 2023. Pirandello avrebbe chiuso la questione con un flemmatico “così è se vi pare”, Mina semplicemente cantando “e se domani, e sottolineo il se…”. Questo per dire che c’erano convenienze da sfruttare, che invece sono rimaste nel cassetto. Sarà per un’altra volta. Brescia e Bergamo, seppure capitali europee della cultura, commetterebbero però un grave errore se non trovassero il modo di aggregare Cremona al loro destino di ambasciatrici di bellezza e di cultura.
Alcuni amici tedeschi con cui ho condiviso la “pazza ipotesi” di unire anche Cremona al progetto, mi hanno detto che “pazzo sarebbe non tentare di mettere a disposizione la comune grande bellezza che le tre città custodiscono”. Secondo Wolfgang Huber, professore di linguistica e cultore del buon vivere (che secondo lui si realizza sempre e soltanto mettendo in sintonia tra loro arte, storia, musica, architettura, letteratura, ingegno, umanità, cibo, vino e compagnia), ognuna delle tre città “possiede titoli e meriti che certo le rendono uniche, ma che se li sommano diventano travolgenti e tali da appassionare chiunque, colto o volgo che sia”.
Ve lo immaginate un circuito che in rapida successione consente di incontrare fasti, tesori, opere, cimeli, pale, affreschi, piazze, chiese, santuari, castelli, palazzi, biblioteche, pinacoteche, accademie e gente diversa ma uguale e di riunire il tutto in un grande e corale abbraccio? Io sì. E questa idea che Brescia, Bergamo includano Cremona nei loro progetti, è una sensazione così bella che non merita di restare una semplice ipotesi.
LUCIANO COSTA