Ho conosciuto Chiara Lubich a Loppiano, nella straordinaria “cittadella” fatta apposta per accogliere il mondo, dove ero andato sull’onda delle emozioni suscitate dai racconti che la riguardavano. Ero arrivato a Loppiano con il bus di linea dopo il viaggio in treno da Brescia a Figline Valdarno. Il direttore del giornale per cui lavoravo, informato della mia avventura alla ricerca di Chiara Lubich, mi disse di non immaginare neppure per un attimo di trovare sul giornale spazio per raccontarla. Piuttosto, aggiunse, “vai e impara le lezioni che proprio da lì partono per inondare di nuova speranza l’universo giovanile, e se ci riesci cerca quella donna che col sorriso e la preghiera sfida i potenti chiamandoli a partecipare alla costruzione di una società senza confini, capace di abbracciare tutti e di assicurare a chiunque un futuro degno di essere vissuto”. Con i potenti mezzi di oggi, arrivare tra le colline toscane sarebbe stato uno scherzo, ma allora fu una faticaccia. Però, alla fine, la “Cittadella” spalancò le braccia e mi accolse. Vidi ragazzi e ragazze pregare, cantare, studiare e lavorare insieme; respirai la buona aria della comunità spontanea, cioè lontana dagli slogan arrabbiati del sessantotto e vicina soltanto al dettato evangelico che suggeriva di vivere “gli uni per gli altri e viceversa”; incontrai mondi diversi e diversi modi di considerare lo stare insieme per costruire cieli e terre nuovi; misurai la fatica di accettarsi senza porre condizioni; compresi di essere in qualcosa che andava oltre la mia immaginazione, qualcosa che per essere compreso pretendeva fosse abbandonato il vecchio modo di intendere la vita; scoprii che il segreto della serenità che regnava a Loppiano non era nelle cose fatte o possedute, ma nell’entusiasmo che circondava ogni azione compiuta.
In quel piccolo-grande mondo Chiara era una presenza eccezionale, formidabile. Incontrandola dopo averla cercata in lungo e in largo mi accorsi che in quel momento, per lei, io ero la persona più importante. Le dissi che venivo da Brescia. Allora mi prese per mano e mi raccontò il legane che la univa alla mia città. Mi parlò della famiglia Folonari, che a Brescia aveva il suo ceppo originario e che le aveva donato i terreni su cui far sorgere la Cittadella di Loppiano. “Ecco – mi spiegò – se vuoi capire il significato del dono, devi immaginare tante mani e cuori che improvvisamente prendono ciò che è posseduto per sbriciolarlo e renderlo così fruibile a tanti sconosciuti”. Soprattutto, mi parlò di Paolo VI, cuore bresciano e visione mondiale, “testardo assertore di un umanesimo senza confini, coraggioso innovatore, uomo e papa della pace e della concordia tra i popoli…”. Durò forse mezz’ora quell’incontro… Però è ancora qui, dopo cinquant’anni, a dirmi che in Chiara Lubich c’era una luce che rischiarava la mente di tanti giovani e che obbligava altrettanti vecchi a misurarsi con la nuova speranza suscitata dalla “civiltà dell’amore”.
Adesso, mentre si celebra il centenario della sua nascita (Trento 22 gennaio 1920) e il dodicesimo della sua morte (Rocca di Papa-Roma 14 marzo 2008) a Chiara Lubich, fondatrice del Movimento dei Focolari, la Rai dedica un film da cui emerge il ritratto di una donna libera, appassionata e coraggiosa che ha vissuto per un grande sogno coltivato oggi da tanti: realizzare la fratellanza universale. Il film, in onda il prossimo 3 gennaio in prima serata su Rai Uno, racconta “una storia importante, la storia di una donna normale che riesce a fare qualcosa di straordinario in mezzo ad un contesto di dolore, una figura molto sfaccettata il cui disegno era avvicinare le persone”. Intitolato semplicemente “Chiara Lubich”, ma con un sottotitolo significativo “Tutto vince l’amore”, il film si preannuncia quale evento in grado di regalare al nuovo anno quella luce di speranza che faticosamente va cercando.
Il luogo dove ha inizio l’avventura di Chiara è la città di Trento, in piena seconda guerra mondiale. In mezzo ai bombardamenti, immersa nei dolori dell’umanità, capisce che c’è qualcosa che non potrà essere distrutto, è Dio. Sceglie di consacrarsi a Lui, ma per lei questo significa rimanere nel mondo per poter amare tutti i fratelli e le sorelle. La decisione di vivere concretamente il Vangelo, condivisa con alcune ragazze, scatena la reazione dei benpensanti e trova difficoltà ad essere accettata anche nell’ambiente cattolico della città. “Che tutti siano uno” sono le parole del Vangelo che più colpiscono Chiara fino a diventare il suo programma di vita. A lei si uniscono altre persone, uomini e donne, prende forma così il Movimento dei Focolari, a lungo studiato dalla Chiesa e quindi approvato. Ora il Movimento è diffuso in 180 Paesi del mondo con l’intento di contribuire a realizzare la fratellanza universale nella convinzione che l’amore costruisce ponti tra gli uomini di qualunque razza o fede religiosa.
La fiction di Rai Uno, spiegano gli esperti, è “metafora di speranza e di coraggio in un periodo in cui manca l’ispirazione per andare avanti, simbolo di semplicità, di passione, di volontà di unire, di promuovere il dialogo tra persone diverse, si è continuamente arricchita delle diversità”. Da non perdere.
LUCIANO COSTA