Cultura

Da Gagarin a Marte, ma restiamo polvere

Noi che allora gli anni, pochi e spensierati, li contavamo allegramente, al sentir dire che un russo era arrivato per primo a vedere la terra come nessuno l’aveva ancora vista (dall’altissimo cielo, dove bastava uno sguardo per vederla sferica, bella, immersa nel blu) sembrava propaganda sfacciata, quasi politicamente scorretta. Invece, era tutto vero. I russi, eternamente in guerra fredda con i capitalisti americani, il loro Yuri Gagarin l’avevano per davvero messo a bordo di una astronave ordinandogli di andare a ruotare attorno alla terra così che tutti sapessero che dell’est e non dall’ovest incominciava il nuovo futuro. Un giornalista incaricato di spiegare a noi, garzoni di redazione, come si confezionava una notizia, disse che tutto, anche la conquista dello spazio, poteva stare in due righe dattiloscritte, che tradotte in righe tipografiche sarebbero diventate al massimo cinque. Provai a chiedergli se per caso in quelle due righe era compreso anche un eventuale commento. Mi rispose che lui, degli spiritosi, se ne faceva un baffo. Allora scrissi, semplicemente che “Yuri Gagarin, un vero russo, il 12 aprile del 1961, trasportato da un potente razzo, dopo aver attraversato l’atmosfera conosciuta, era stato proiettato, lui e la navicella in cui era racchiuso, in quella sconosciuta dove, per sette volte, ruotò attorno alla terra riuscendo poi anche a farvi ritorno”.

Sui quotidiani l’impresa del russo “felicemente lanciato quel giorno a bordo della capsula spaziale Vostok Est per un giro orbitale di 89 minuti intorno alla terra” venne riferita con titoli di nove colonne, cronache minuziose e commenti che spaziavano tra l’euforia e il tragico. Mio papà disse che da lì in avanti “potevamo andare sulla Luna, su Marte e anche oltre”; mamma ipotizzò invece scenari che prevedevano “l’invasione della terra da parte di chissà quali mostri”. Il prete del paese, l’unico a ricevere regolarmente un giornale – si chiamava “L’Italia” ed era il quotidiano cattolico per eccellenza – per smorzare l’euforia e cancellare qualunque tragicità, mise in bella evidenza quel che l’allora Arcivescovo di Milano Giovanni Battista Montini aveva scritto a commento dell’impresa. Diceva il futuro Papa: «Cresce la contemplazione dell’universo. Cresce la speranza del mondo. E tutto questo sembra acquistare senso d’un risveglio nel mistero, sempre più grande, più profondo e più attraente, dell’essere. Del cosmo, così immenso, così vicino, così penetrato di unità e di causalità. La vastità astrale del nuovo panorama invita ancor più al dovere radicale della esistenza, quello religioso, che ci spinge nel segreto del mondo e della vita, e ci allena a celebrare a maggior voce l’ineffabile e incombente grandezza di Dio».

Mi ero imbattuto in questo commento, ma anche in altri sempre inerenti allo spazio e all’universo, quando, alcuni anni fa, cercando notizie su monsignor Giovanni Battista Montini cardinale di Milano e poi Papa col nome di Paolo VI, per tradurle in un libro utile a spiegare al popolo la sua grandezza. Ne avevo annotate con l’intenzione di metterle in pagina, invece rimasero tra i fogli sparsi. L’altro ieri le ho riviste e rilette nel commento che Gisella Adornato, storica di vaglia, aveva confezionato per ricordare il sessantesimo dell’impresa compiuta da Yuri Gagarin. “Per Montini – ha scritto la studiosa -, questa dello spazio è una strada entusiasmante e promettente perché l’uomo moderno giunga allo scopo dell’esistenza: la rivelazione di Dio. È la grandiosa possibilità che la scienza e la tecnologia si aprano alla Sapienza, perché l’audacia delle imprese spaziali, svelando all’uomo i segreti del cosmo, può fare avanzare l’umanità nel suo cammino, che è l’approdo alla Verità”.

Poi, in rapida sintesi, ho riletto quel che il bresciano destinato a diventare Papa, aveva detto e scritto in tempi diversi. Come quando, parlando dei Magi, spiegò che “essi partono da uno studio scientifico, che non rimane fine a se stesso, ma diventa segno d’altra realtà più importante, alla quale dirigono non solo la mente, ma anche i loro passi di pellegrini fidenti e coraggiosi”.

Scrive Gisella Adornato che l’arcivescovo mostrava “un curioso e affascinato interesse per i nuovi domini del sapere” arrivando a stabilire che “il grande libro dell’universo dovrebbe essere la nostra normale e magnifica introduzione alla religione: o almeno alla ricerca di Dio”. Poi, nel 1964, da Pontefice, prima della recita dell’Angelus a Castel Gandolfo, commenta il lancio della sonda americana Ranger VII, che arrivata sulla luna restituì agli americani che l’avevano lanciata oltre quattromila immagini. Per il Papa “questa esplorazione dello spazio immenso, del cosmo, rivela a noi l’umana piccolezza, ma nello stesso tempo la nostra grandezza”. E in quell’attimo la sua ammirazione divenne preghiera “perché l’uomo, dalla maggior conoscenza della creazione, sappia trarre motivo di un nuovo inno alla gloria e alla maestà del Creatore”. Un anno dopo, parlando ai tecnici aerospaziali, Paolo VI li invitò a non cadere nella tentazione di trarre dalle “ardite sperimentazioni uno sterile senso di autoesaltazione”, perché «nessuno meglio di voi, uomini di scienza e di calcolo esatto, può capire la infinita sproporzione tra l’essere creato e l’increato Iddio, fra il commensurabile e l’immenso, fra il limitato e l’Infinito».

Nel 1969, alla vigilia del primo allunaggio, Paolo VI ricorda che ogni traguardo scientifico deve assicurare agli uomini i diritti fondamentali. Infatti “il pericolo non viene né dal progresso né dalla scienza: questi, se bene usati, potranno anzi risolvere molti dei gravi problemi che assillano l’umanità… Ma anche la corsa per la conquista dello spazio deve essere pacifica e avvicinare i popoli, coinvolti in comuni destini”. Poi, il 21 luglio, pochi minuti dopo che la navicella spaziale ha toccato il suolo lunare, il Papa rivolge un saluto agli astronauti attraverso la televisione italiana dicendo: “Qui, parla a voi astronauti, dalla sua specola di Castel Gandolfo, vicino a Roma, il Papa Paolo VI. Onore, saluto e benedizione a voi, conquistatori della Luna, pallida luce delle nostre notti e dei nostri sogni. Portate ad essa, con la vostra viva presenza, la voce dello spirito, l’inno a Dio, nostro Creatore e nostro Padre. Noi siamo a voi vicini con i nostri voti e con le nostre preghiere. Vi saluta con tutta la Chiesa cattolica il Papa Paolo VI”.

Il 12 luglio 1978, tre settimane prima della morte, Paolo VI, parlando ai membri dell’Unione internazionale di astronomia, dice: “Aiutateci a sollevare i nostri cuori e le nostre menti oltre i limitati orizzonti delle nostre fatiche quotidiane, per abbracciare il vasto dominio di stelle e galassie, e scoprire al di là, la magnificenza e il potere del Creatore”.

Da Yuri Gagarin alla conquista di Marte (tre potenze mondiali stanno pianificando la loro presenza  sul pianeta rosso) sono passati sessant’anni. Il russo, qual primo sorvolatore della terra, è diventato un mito; tutto quel che accadrà nel gran viaggio oltre lo spazio conosciuto è invece ancora tutto da scrivere.

LUCIANO COSTA

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