“Gli italiani – si diceva un tempo neppure tanto lontano – sono in maggioranza cattolici aperti al mondo, gente che chiama fratelli anche i nemici, che ritiene la politica un servizio e non un privilegio; sono (in maggioranza) anche cristiani convinti, per i quali il bene comune deve essere cercato e costruito senza porre limiti, e senza consentire agli interessi di parte di prevalere…”. Allora piaceva la definizione che gli italiani li classificava “brava gente”. Per fare migliore l’Italia e migliori anche gli italiani, i cattolici si schierarono a favore della politica di servizio considerandola un’altissima espressione di carità cristiana. “Senza i cattolici – scrisse uno storico – l’Italia non avrebbe mai conquistato libertà e democrazia…”. La presenza dei cattolici in politica, dunque, come garanzia di equità, di crescita omogenea, di superamento dei contrasti, di ricerca del bene comune… I cattolici si ritrovarono per tanto tempo nelle file della Democrazia Cristiana. Poi la diaspora: ognuno libero di essere cattolico senza per questo sentirsi nel “partito della democrazia cristiana”.
La storia ha abbondantemente raccontato la fine di un tempo che consentì all’Italia di risorgere, grazie alla DC e ai suoi uomini e donne migliori, dalle ceneri della guerra ma anche di sentirsi libera e felice di immergersi in un laicismo politico che non ammetteva ingerenze fideistiche o anche solo vaticane. Dal Concilio Vaticano II giunse l’invito a essere cristiani dentro la politica… Detto e fatto: in tanti partirono per destinazioni diverse, ma pochi ebbero il coraggio di chiedere ai cattolici coerenza e impegno senza lasciarsi tentare e avviluppare dal potere. Poi, ad ogni appuntamento elettorale, si apriva il dibattito sui cattolici in politica, sul loro essere cristiani in politica, sul loro dovere di testimoniare la carità così che il mondo fosse orientato al bene comune e non a quello di pochi. Così fino a ieri, quando di fronte allo sfascio della politica (tutti a caccia di voti, nessuno a caccia del bene comune) e all’avvicinarsi di un appuntamento elettorale che rischia di mettere a soqquadro l’intero sistema democratico (avanza la destra più estrema e risuonano voci che appartengono al passato più triste), mentre tanti decantavano la loro visione, dei cattolici si son perse le tracce. Non una voce, non un invito a stare nella mischia. I cattolici? Non pervenuti.
Eppure, “non abbiamo forse metabolizzato grazie al Concilio che in materia politica vi è un grado incomprimibile di legittimo pluralismo tra credenti? E non sappiamo ormai bene che attendere di essere tutti è una scusa per non muoversi? O un trucco perché qualcuno si muova nell’ombra millantando mandati inesistenti?”. Proprio questo stesso spirito «non confessionale» portò Alcide De Gasperi alla ricerca di alleanze con liberali e riformisti e a raccogliere una misura di consenso cui nessun altro si sarebbe più avvicinato. Non si trattava di fondare un circolo di ‘indipendenti’ disposti a tutto, ma di riconoscere la funzione e il valore della organizzazione in politica. De Gasperi sapeva, da cattolico, ciò che è vero anche oggi. E cioè che “è all’apostolato dei laici che spetta di trattare delle cose del mondo, incluse quelle politiche”.
Però, come già detto e argomentato, dopo la fine della Dc, con la progressiva frantumazione di quell’eredità politica e morale, e in assenza di formazioni politiche facenti esplicito e dichiarato riferimento alla Dottrina sociale della Chiesa e, in generale, ai valori evangelici, “questo nesso si è quasi del tutto spezzato e il voto dei cattolici, anche di quelli dichiaratamente praticanti, si è decisamente spostato dal punto dei valori (tutti, non solo alcuni) a quello degli interessi”. Si tratta di una scelta di per sé anche legittima – apparendo comprensibile che i singoli cittadini abbiano a cuore i propri interessi, reali o presunti –, ma che di per sé fa intravedere alcune ombre e porre alcune domande. Una su tutte: è legittimo, per i singoli credenti, votare per una forza politica che tuteli i propri interessi prescindendo del tutto dall’attenzione ad alcuni fondamentali valori? Rispondere a questo interrogativo impone necessariamente anche una riflessione sul senso e il valore della politica, di qualunque politica. C’è da chiedersi, insieme al professor Campanini che il quesito se lo pose già alcuni anni fa: “Questa forza politica, ha come unico e principale compito quello di promuovere e tutelare gli interessi (sia pure legittimi) o deve anche farsi carico – in una prospettiva più ampia e più completa – di quello che tradizionalmente, nel linguaggio dei cattolici e cristiani, è stato da sempre definito il Bene comune? In quest’ultima prospettiva, dovrebbe essere ritenuto doveroso compiere una scelta di campo a favore di coloro che meglio garantiscono, o sembrano garantire, il perseguimento più completo possibile dei valori piuttosto che la tutela dei propri interessi. Ma sembra che difficilmente ciò avvenga, anche nell’ambito di coloro che si considerano credenti e che forse, al momento del voto – quasi prigionieri, appunto, dei propri interessi – si lasciano da questi, e da questi soltanto, condizionare”.
La constatazione di tale divario – che da alcuni decenni a questa parte sembra diventato sempre più accentuato – dovrebbe preoccupare non poco la comunità cristiana. Come argomentò a suo tempo Campanini “i cristiani sono come gli altri e vivono nella stessa città degli altri con gli stessi doveri; ma non devono in tutto e per tutto lasciarsi assimilare, consegnarsi a quello che una volta si era soliti chiamare lo “spirito del tempo” (oggi lo “spirito delle mode” o forse addirittura lo “spirito della guida” di turno…). E’ dunque compito della comunità dei cristiani far nascere “vere e proprie scuole di educazione alla cittadinanza”. Un arduo compito, ma necessario se si vuole far crescere un popolo che miri al bene comune prima che al bene personale. Un compito fondato sull’educazione alla socialità, che “è strada necessaria da percorrere per evitare che l’appello ai valori del grande e concreto umanesimo al quale il cristianesimo ha dato anima sia semplicemente una voce che grida nel deserto o, peggio ancora, diventi sempre più una malaccorta copertura di inconfessati, e anche inconfessabili, interessi”.
Fa male chiedere “dove sono finiti i cattolici in questo tempo di scelte così determinanti?” e sentirsi rispondere che la loro voce “non è pervenuta”, accorgersi cioè che i cattolici se ne stanno ognuno a casa loro…
LUCIANO COSTA