Cultura

Pensieri e opinioni diverse…

Reazioni diverse, qualche distinguo, alcuni apprezzamenti, anche lusinghieri apprezzamenti per aver scelto di mettere in pagina senza porre confini il mistero della Croce e della crocifissione del Giusto. Ogni parola e commento mi sono cari e li considero arricchenti. Anche la critica di usare la Via Crucis, cerimonia antica ma non tanto antica come il cammino verso il Calvario imposto a Gesù il Nazareno (divenne tradizione popolare grazie a santi illuminati che la proposero come riflessione e compartecipazione al mistero vissuto), per stendere un velo sulle magagne e i problemi quotidiani, critica avanzata prima da Gianni e poi da Agnese (entrambi ribelli al sistema e invece fieri di mettere fiori nei cannoni dell’imperialismo), non era fuori luogo, soprattutto perché confermava che di fronte al “mistero della Croce” nessuno, neppure il più acerrimo oppositore di qualunque valore religioso, può restare indifferente, spettatore disinteressato piuttosto che protagonista della storia.

Poi, cinque righe per dirmi delle sofferenze patite da tanti altri poveri cristi innocenti; la telefonata della suora claustrale che mi assicurava l’esistenza della quindicesima stazione della Via Crucis, “quella – mi ha detto – che redime ogni dolore”; il messaggio del vecchio eternamente incredulo ma buono. che mi faceva partecipe della sua malattia e anche della sua voglia rinnovata di incontrare, chissà come e quando, magari senza dover camminare la via della croce, la porzione di Cielo in cui serenità e pace saranno anche sue compagne; la sfuriata dell’operaio che non accettava buonismi dove invece dovrebbero esserci severi rimproveri e ancor più severi ammonimenti a far meglio ciò che deve essere fatto per la comunità, per gli altri, per i poveri e i disoccupati;  la reprimenda del professore al quale la decisione di papa Francesco di affidare ai bambini il commento della Via Crucis del tragico anno pandemico, era un chiaro tentativo di “imbonire la piazza, addomesticandola con l’innocenza di chi innocente lo è già per natura”; la commozione di una mamma, adesso vedova, che nelle stazioni raccontate dai bambini vedeva la soluzione ai dolori e alle cattiverie umane…”. Infine, quando era quasi già notte, il messaggio con cui il vecchio prelato mi chiedeva di accumunarlo in ogni azione che avesse come fine la divulgazione del bene e la sua affermazione in ogni angolo conosciuto o sconosciuto della terra.

Così, al sorgere del nuovo giorno – un Sabato Santo che per i cristiani annuncia e anticipa la Risurrezione del Giusto e che per i non cristiani è semplicemente un altro anonimo sabato del villaggio – ho riannodato le fila dei discorsi ascoltati e mi son fatto persuaso che dietro ogni rifiuto di sacro vi è sempre un angolo inesplorato in cui è accomodata la verità che rende liberi e che dentro ogni certezza non manca mai un pertugio dal quale far passare anche l’ultimo dei negazionisti di Dio e del suo Cielo… Ho allora rivisto quella Speranza che, per Dante ma non solo per lui, “è una certezza di beatitudine mai toccata dal dubbio”, l’unica in grado di assicurarci che “presto ci riabbracceremo…”; l’ho sentita ripetere che lei, la Speranza, “è un attendere certo, mai toccato dal dubbio, della redenzione e della risurrezione”, che è “l’aspettazione sicura della beatitudine, la gloria futura, quando ciò che è stato a lungo sperato diverrà sostanza…”.

Intanto è ancora emergenza pandemica: migliaia di nuovi ammalati, il conto dei morti che non smette di alzare la sua posta, le cure che arrivano ma che non sono ancora sufficienti, l’impossibilità di muoversi a piacimento (secondo normalità e non secondo emergenza), le famiglie che non riescono a riunirsi, l’incubo del virus nascosto, la paura di non farcela, la visione di un domani senza certezze… Fatti e misfatti, giudizi e fughe da ogni giudizio, parole sciupate e parole non pronunciate per manifesta mancanza di coraggio, accuse e contro-accuse, bugie e falsità, esaltazione dell’io e assoluta incuranza dell’altro, anche lui partecipe al cammino quotidiano…

Un tale, Epicuro filosofo della felicità, ha scritto che “non sono i fatti in sé che turbano gli uomini, ma i giudizi che gli uomini formulano sui fatti. Per esempio, la morte non è nulla di terribile, ma il giudizio che la vuole terribile, ecco, questo è terribile. Di conseguenza, quando subiamo un impedimento, siamo turbati o afflitti, non dobbiamo mai accusare nessun altro tranne noi stessi, ossia i nostri giudizi. Incolpare gli altri dei propri mali è tipico di chi non ha educazione filosofica; chi l’ha intrapresa incolpa sé stesso; chi l’ha completata non incolpa né gli altri né se stesso”.

Poi… Poi è già Pasqua.

LUCIANO COSTA

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