Lezione di storia? No. Semmai un ripasso, questo sì. Perché l’impressione è che tutto passi senza lasciare traccia e che “i giovani non sappiano quello che i vecchi hanno già dimenticato”. Trentadue anni fa, 9 novembre 1989, il vento della libertà portò alla caduta del Muro di Berlino. Quel giorno venne accolto come liberazione dalla dittatura comunista, alba di un giorno senza barriere e senza paure, fine della guerra fredda… Le immagini dei giovani in festa che cavalcavano le rovine del muro quelle dei cittadini intenti a demolire la barriera di cemento con tutti gli strumenti a loro disposizione, offrirono al mondo l’essenza di quella notte simboleggiante la conclusione di un’era. Fine del comunismo, superamento della dittatura sovietica, libertà ritrovata, inizio di un tempo di pace vera…
Quante attese presero avvio in quella fantastica notte! C’erano milioni di uomini e donne, a Berlino come a Roma, Parigi, Londra, New York e ovunque la notizia era giunta, che applaudivano e si abbracciavano mentre alla berlinese Porta di Brandeburgo, simbolo della divisione di due popoli fratelli, le note del violoncello suonato dal grande Shostakovic invocavano pietà per coloro che erano morti cercando Libertà e chiedevano coraggio e forza per i vivi che da quel momento dovevano ricostruire Libertà. Berlino era di nuovo una sola città; dell’orrendo Muro restavano solo macerie e polvere. Conservo due frammenti di quel Muro, e ogni volta che li guardo mi dicono quanto grande è la libertà che possiedo.
Per la storia, quel 9 novembre 1989 segnava l’avvio del disfacimento dell’impero Sovietico. In realtà, perché fosse realmente così, fu necessario attendere altri due anni. Nel susseguirsi di vicende che di volta in volta riaccendevano e spegnevano speranze e sogni di città e paesi senza confini, si dovette attendere quello che storicamente venne definito l’Accordo di Belaveza, firmato l’8 dicembre 1991, esattamente trent’anni fa, quando l’allora presidente russo Boris Eltsin incontrando in una dacia situata nella foresta vicino Minsk i suoi fino ad allora sodali, firò con loro l’accordo che sanciva la dissoluzione dell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche (Urss).
***
Tutto era incominciato nel 1985 con l’elezione di Mikhail Gorbaciov a segretario del Partito comunista dell’Unione Sovietica (Pcus). Gorbaciov aveva infatti intrapreso una serie di riforme finalizzate alla riorganizzazione economica, politica e sociale del blocco sovietico, da lui stesso riassunte nei celebri termini perestrojka (ristrutturazione) e glasnost (trasparenza). L’operato di Gorbaciov, sebbene celebrato nel mondo occidentale come un’apertura senza precedenti (al punto da garantirgli il premio Nobel per la pace nel 1990), aveva però generato anche un forte risentimento in patria, in particolare fra i membri più conservatori del partito. Tali frizioni, unite all’introduzione del multipartitismo, avvenuta nel febbraio 1990, avevano drasticamente ridotto l’influenza del Pcus e del suo segretario, che nel febbraio 1991 venne addirittura invitato pubblicamente a dimettersi da Eltsin, suo principale antagonista, nel corso di una trasmissione televisiva. Nello stesso periodo si erano inoltre tenuti dei referendum per l’indipendenza nelle repubbliche baltiche, a favore della quale si era così espressa una schiacciante maggioranza in tutti e tre i Paesi. Nonostante un iniziale intervento militare operata in Lituania, Gorbaciov promosse di lì a poco un nuovo Trattato dell’Unione, che riconosceva il diritto di secessione alle Repubbliche sovietiche.
Spaventati dal susseguirsi di questi eventi, i membri più radicali del Pcus, nell’agosto del 1991, tentarono allora un colpo di stato. Nonostante il fallimento della rivolta, esauritasi nel giro di tre giorni, l’accaduto ebbe un ruolo determinante nel decretare la perdita di influenza di Gorbaciov a favore del presidente Eltsin, il quale aveva precedentemente lasciato il partito. Nei giorni successivi, mentre Gorbaciov sospendeva definitivamente le attività del Pcus, tutte le repubbliche sovietiche, dall’Ucraina all’Armenia, votarono a favore dell’indipendenza. Venne inoltre decretato lo scioglimento del Kgb, la temuta agenzia sovietica di intelligence.
L’incontro di Belaveža si svolse dunque in un contesto segnato da questi eventi, portando inevitabilmente alla dissoluzione del gigante sovietico. Al suo posto nasceva la Comunità degli Stati indipendenti (Csi), l’attuale organizzazione basata sulla cooperazione economica e sulla difesa comune. Fra il dicembre 1991 e il 1994 entrarono a farne parte tutte le ex Repubbliche sovietiche, esclusi i Paesi baltici. Attualmente la Csi comprende nove membri, in seguito all’uscita della Georgia nel 2009 (a causa del conflitto in Ossezia del Sud dell’agosto 2008) e dell’Ucraina nel 2018 (dovuta agli sviluppi della guerra in Crimea del 2014).
Iniziò così un periodo di cambiamenti radicali e di complesse sfide per la neonata Federazione Russa. Fra le tappe più importanti di questo percorso vi sono state la nuova Costituzione approvata nel dicembre 1993 e l’accordo sulla spartizione dell’arsenale nucleare sovietico con l’Ucraina, che rinunciò interamente agli armamenti balistici nel 1994. Il Paese intraprese inoltre, su iniziativa del ministro delle Finanze Egor Gadjar, un processo di liberalizzazione economica noto come “terapia d’urto”. La fine dell’Unione Sovietica rappresentò un cambiamento di straordinaria portata per lo scenario globale, aprendo nuovi orizzonti di distensione e collaborazione. Fra le molte clamorose conseguenze di questo evento, alcune furono immediate, come la fine del bipolarismo militare e ideologico e l’entrata delle ex repubbliche sovietiche nell’Onu.
Altri effetti dello storico avvenimento manifestarono invece la loro influenza sullo scenario internazionale solo in un secondo momento. Diversi storici e studiosi di relazioni internazionali hanno infatti evidenziato come la fine dell’Urss abbia progressivamente portato i Paesi occidentali a definire nuove priorità nella loro agenda, come il commercio, la crescita economica, la tutela dell’ambiente e, nel campo della sicurezza, la lotta al terrorismo e alla criminalità transnazionali. Alcuni studiosi sono inoltre arrivati a teorizzare che anche le attuali frizioni fra la Russia e la Nato siano dirette conseguenze della dissoluzione dell’Urss. Gli esperti in questione ritengono infatti che tali tensioni derivino da una mancata integrazione di Mosca nell’ordine mondiale post-sovietico, dovuta a errori diplomatici compiuti da entrambe le parti, e da un clima di reciproca diffidenza mai del tutto superato.
***
Fine del ripasso storico. Inizio, spero, di un tempo in cui non venga mai meno la memoria, dove non vi sia posto per “giovani che non sanno quello che i vecchi hanno già dimenticato”, ma solo per donne e uomini di ogni età che delle lezioni della storia fanno tesoro.
LUCIANO COSTA