Era il 23 ottobre 1920, cento anni fa, quando Gianni Rodari nasceva a Omegna; era il 14 aprile 1980, quarant’anni fa, quando salutava la compagnia e si avviava verso il paradiso dei poeti. Gianni era uno scrittore che con le fiabe sottobraccio metteva a dormire i bimbi e zittiva, svergognandoli, i grandi i prepotenti. Sulle spalle aveva anche una storia importante, di quelle difficili da portare e ancor più da comunicare. Era diventato comunista perché credeva nell’utopia egualitaria fatta di potere alle masse e di società senza padroni, antifascista e partigiano per amore della libertà, giornalista per affermare idee mai semplici e comode, scrittore per andare oltre gli spazi di una pagina così che il pensiero avesse modo di esprimersi compiutamente e scrittore per l’infanzia perché a nessun bimbo fosse negato il privilegio di possedere la “grammatica della fantasia” per leggere e intendere il mondo che gli stava intorno. Lo ricordo felice e sincero in un giorno del 1970, anno ancora arrabbiato, io giovane di redazione e lui già affermato scrittore, con in tasca un premio letterario – premio Hans Christian Andersen – che nessun italiano aveva mai vinto. “Ma importante non è vincere un premio – mi disse -, bensì sapere che quel che hai scritto è e sarà letto, compreso, goduto da tanti sconosciuti, piccoli o grandi non importa”.
Per ricordare nascita e morte di Gianni Rodari si sono scomodati in tanti. Il Presidente delle Repubblica Sergio Mattarella, felice di essere stato un suo lettore; intellettuali di ogni risma e provenienza, forse suoi lettori, ma senza dichiararlo apertamente; politici e affini, straniti dalla somiglianza tra vero e fantastico messa tra riga e riga; ex compagni, sicuri dell’utopia che li aveva animati, un po’ meno della sua traduzione in realtà; scrittori di oggi, scarsi di fantasia e carichi di saggistica; mamme e papà diventati grandi ascoltando “favole al telefono”, ma anche nonne e nonni che avevano assaporato la gioia contenuta nelle “filastrocche in cielo e in terra”; perfino il Vaticano, che sul suo quotidiano – l’Osservatore Romano -, e non una volta sola, ha scritto per ricordare l’autore di favole e filastrocche che hanno fatto crescere una generazione disposta a impegnarsi per costruire un mondo migliore. Proprio sul quotidiano della Santa Sede, a conclusione di una intelligente rivisitazione dei testi di Gianni Rodari, Marco Beck sottolinea ciò che lo scrittore sosteneva e cioè che “la letteratura per bambini e ragazzi non conosce, entro certi confini, argomenti proibiti. Persino complessi problemi scientifici, il terrorismo, l’inquinamento possono essere adeguatamente spiegati, a suo avviso, attraverso il filtro della fabula. Viene quindi da chiedersi: come gli riuscirebbe oggi di interpretare in chiave narrativa, per un impiego giovanile sano ed equilibrato, fenomeni e strumenti connessi ai new media, con l’attenzione rivolta al computer, allo smartphone, a Internet, YouTube, WhatsApp, Facebook, e via digitalizzando?”
Personalmente credo che Gianni Rodari riderebbe a crepapelle delle masse che si lasciano infinocchiare e travisare da abili e spregiudicati/e influencer, dei ragazzini che alle favole preferiscono il giochino offerto dal cellulare, dei genitori che invece di giocare coi figli offrono i figli al gioco televisivo, dei Media abilmente in media con tutto ciò che è mellifluo e superfluo, della gente che ha messo il pensiero in soffitta sperando di vivere felice senza dover pensare, di coloro che della paura fanno cassetta e del mistero materia di lucro.
Qualcosa, ne sono certo, Gianni avrebbe da dire su questo tempo invaso da virus misterioso e crudele. Forse che si tratta della “passeggiata di un distratto” che però “la freccia azzurra”, se aiutata e seguita, riporterà sulla buona via…
Luciano Costa