Se l’eclissi della memoria oscura la ragione

Ricordando ieri l’anniversario della morte di Paolo VI – un grande papa, al di là di qualsiasi rifrazione intellettualistica che lo vorrebbe secondario alla storia quando invece Lui è stato protagonista assoluto della storia -, ho riletto alcuni suoi pensieri, e tra questi i giovanili, così freschi, coraggiosi e aperti al futuro da indurre a pensare che il resto della sua vita, quindi anche il suo pontificato, era già segnato. Scriveva don Giovanni Battista Montini: “Stamane svegliandomi la prima cosa che m’ha colpito, prima ancora che fossi desto del tutto fu la gioia di essere… Com’è bello vivere, vedere… Il mistero del vedere!… Vedere e saper di vedere e sentir di vedere, ecco una felicità misteriosa che non può essere compresa senza applicarla alla sorgente stessa dell’essere, Iddio…”. Se la sua fosse meditazione scritta o poesia, non lo so. Di certo so che dentro le parole scritte dal futuro papa c’era già la visione della civiltà dell’amore destinata a cambiare il mondo.

Ricordando ho anche coniugato il giorno anniversario della sua morte (6 agosto 1978) con il tragico anniversario delle bombe atomiche (6 agosto 1945) esplose su Hiroshima e Nagasaki e da qui con tutte le tragedie consumate in varie parti del mondo. E’ scritto negli annali della storia che “tra il 6 e il 9 agosto del 1945 si consumò in Giappone “il record dello sterminio: un record che fa paura persino alla memoria”. Quello sterminio segnava l’epilogo della guerra, ma anche l’inizio di un tempo nuovo in cui la parola pace doveva caratterizzare ogni azione e ogni gesto. “Ma nel ‘900 – ha scritto Guido Oldani – abbiamo anche gli ebrei, gli armeni, gli aborigeni e ancora i rom, i sinti, gli omosessuali; non sono sicuro di non avere dimenticato qualche gruppo, tanto la testa è piena di lapidi…”.

Come le lapidi che ricordano i morti di Nagasaki ed Hiroshima, di cui si parla poco o addirittura quasi mai. Eppure, quelle lapidi segnano un record che fa paura persino alla memoria. Ma così non può essere. Altrimenti “la verità diventa un palloncino, la storia uno spettacolo che prosegue di trovata in trovata, ma rischia di non commuovere più e dunque di non insegnarci più niente”. Ricorda Oldani nel suo scritto che “al tempo in cui fu commesso questo delitto contro l’umanità, nessun intellettuale occidentale prese la parola. Essi furono tutti automaticamente vaccinati, conseguendo l’immunità di gregge che è tipica del silenzio”. Poi, un certo Albert Camus “per iscritto alzò la sua voce contro la barbarie”.

E oggi? Oggi la memoria è rispolverata ma forse non degnamente vissuta. Persino il Giappone, che pure ha subito l’orrore delle prime bombe atomiche, sembra quasi troppo mite (il minuto di silenzio non attuato nel corso delle gare olimpiche è la misura del disimpegno o il prevalere dell’utilità politica sul dovere di ricordare?) nell’esercizio della memoria. Come mai? Guido Oldani scrive di aver cercato di sapere “quanto si faccia su questo argomento, per esempio nella metropoli milanese o nei cinema, teatri, biennali, eccetera eccetera” scoprendo che “a Milano una docente di cultura e lingua giapponese porta in giro, ma solo sporadicamente, uno spettacolo con un amico pianista e dei video di supporto. Ma perché non al Teatro alla Scala? Perché non cinquecento dibattiti televisivi?”.

Sarebbe facile rispondere che in quei comodi luoghi di facezie e divertimento non c’è posto per pensieri e memorie scomodi: scomodi e urticanti perché richiedono pensieri pensati e riflessioni severe piuttosto che estemporanee risate e infelici battute. Ieri, a un ragazzo che mi chiedeva perché è così raro sentire parole pronunciate per aiutare a pensare, ho consigliato di leggere un romanzo che un tempo era fra le letture scolastiche della scuola dell’obbligo: Il gran sole di Hiroshima, di Karl Bruckner, scrittore austriaco. Il romanzo, tradotto in decine di lingue, narra la storia di due fratellini che, ad Hiroshima, si salvano stando isolati in un parco. Anche il padre e la madre non muoiono, trovandosi quel giorno fuori città. Ridotto in miseria il capofamiglia, aiutato da un benefattore avvierà un negozietto di barbiere. Ma quando tutto sembra trascorso, la ragazzina, dopo una gita in bicicletta si ammalerà di bomba atomica e morirà dopo mesi di un’agonia che lei vive come un gioco. “Ebbene – ha annotato Oldani nel suo scritto -, questo indispensabile romanzo è misteriosamente sparito dalle letture dei ragazzi, così come anche dalle nostre”.

E di nuovo bisognerebbe chiedersi: perché? Vale a dire: perché è così facile dimenticare se ben sappiamo che l’eclisse della memoria oscura la ragione?

LUCIANO COSTA

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