Sei mesi fa, 24 febbraio 2022, giorno infausto e freddo, con l’aggressione della Russia all’Ucraina il mondo aggiungeva al suo procedere un’altra guerra infame. Dirà la storia, quando le armi taceranno, semmai taceranno, quanti crimini sono stati commessi, quanti morti sono stati ammucchiati, quanta infamia è stata consumata attorno a logiche di potere e di possesso. Oggi c’è solo il tempo per piangere e per invocare la pace. Ma, c’è ancora qualcuno disposto ad unirsi in questa invocazione di pace che sembra e purtroppo è una voce che grida nel deserto? Credo, spero, che non qualcuno ma tanti, tantissimi, un popolo immenso voglia associarsi all’invocazione di pace. Però, dall’altra parte, c’è uno (quell’uomo solo al comando che si è autoproclamato zar) che non intende sentire, incapace di misurare l’assurdità delle sue brame… Ma, nonostante tutto, la campana della pace non smetterà mai di suonare. Ieri, attorno alla questione “Crimea” (la penisola venne invasa dalla Russia il 27 febbraio 2014 servendosi di proprie truppe senza insegne per prendere il controllo del governo locale; poi, l’11 marzo 2014 il nuovo governo filorusso dichiarò la propria indipendenza dall’Ucraina), che di fatto è tutt’uno con la guerra in corso, voci autorevoli hanno invocato la sua restituzione piena e indiscutibile all’Ucraina. Anche ieri la campana della pace ha fatto sentire i suoi rintocchi. All’alba di oggi, leggendo i giornali e ascoltando i vari telegiornali, ho trovato la conferma del disimpegno mediatico rispetto a ciò che accade in Ucraina e del progressivo aumento del medesimo impegno mediatico rispetto alle questioncelle politiche italiane, con particolare preoccupazione per quelle economiche. “Il problema principale – ha detto un commentatore – è il gas che manca e l’euro che perde valore rispetto al dollaro…”. E tutto il resto? “Di quello – ha spiegato un politicante in cerca di visibilità – parleremo dopo le elezioni, a bocce ferme, sapendo a chi gli italiani avranno concesso fiducia…”. Mi sono ritrovato all’improvviso perplesso e incredulo. Così, dopo essermi chiesto se davvero gas e monete fossero le principali preoccupazioni, ho cercato di capire quali danni derivano da una sostanziale parità tra dollaro e euro.
Ho capito che lo scenario mondiale al momento non è tranquillizzante, in quanto lo spettro della recessione ha portato l’euro di nuovo in parità con il dollaro… Era già accaduto nel 2002, ma da allora la moneta europea aveva ritrovato dignità e forza. Poi, ieri e l’altro ieri, di fronte al peso del gas russo e all’interesse sfacciato degli speculatori di professione (ci sono e fanno sporchi affari sulla pelle della gente), il tracollo e l’apertura di scenari imprevedibili. Ma, perché questo deprezzamento? Secondo gli esperti è colpa della politica monetaria della banca centrale statunitense, la Federal Reserve, che a differenza della Banca centrale europea ha mostrato molto prima la sua determinazione a proseguire la politica di inasprimento dei tassi per combattere l’inflazione. Infatti “gli alti tassi d’interesse negli Stati Uniti rendono più interessante detenere dollari, il che attira gli investitori e fa apprezzare la valuta”. Da parte sua, la Banca Centrale Europea ha aumentato i tassi per la prima volta, ma la sua intenzione a lungo termine non è considerata abbastanza chiara dai mercati e sta causando incertezza sull’euro. “La Bce sta camminando su gusci d’uovo: non può rinunciare completamente ad aumentare i tassi perché teme di provocare una crisi del debito sovrano nei Paesi più indebitati dell’eurozona”, ha spiegato il direttore degli studi economici della Ieseg School of Management. La Fed, invece, non sta affrontando questo problema. Di conseguenza, i differenziali dei tassi d’interesse rimangono molto favorevoli al dollaro. Inoltre, la guerra in Ucraina e la dipendenza dell’Europa dagli idrocarburi russi si aggiungono alla crescente incertezza e debolezza economica dell’eurozona.
Secondo gli esperti internazionali “l’effetto della caduta dell’euro varia a seconda della dipendenza delle imprese dal commercio estero e dall’energia. Ragion per cui le aziende che esportano al di fuori della zona euro beneficiano del deprezzamento dell’euro perché i loro prezzi sono più competitivi (una volta convertiti in dollari, ovviamente), mentre le aziende che importano si trovano penalizzate”. Le piccole e medie imprese, che lavorano e producono importando, non sanno che pesci pigliare. A beneficiare della caduta dell’euro è invece l’industria manifatturiera, che esporta i suoi prodotti all’estero, in particolare l’industria aeronautica, automobilistica, dei beni di lusso e chimica.
Però, semplicemente in teoria, il deprezzamento dell’euro rende i prezzi più competitivi al di fuori della zona euro e quindi stimola le esportazioni di beni e servizi europei all’estero. Ciò potrebbe attutire l’impatto sulla crescita dell’aumento dei prezzi delle materie prime, soprattutto nei Paesi con economie basate sulle esportazioni. Per il rimborso del debito dei Paesi europei, l’impatto è però meno chiaro. Una maggiore crescita può “facilitare il rimborso del debito a condizione che i mercati considerino il debito europeo sufficientemente sicuro e che i tassi di interesse rimangano bassi. Ma per gli Stati che hanno emesso obbligazioni denominate in dollari, un deprezzamento dell’euro rispetto al dollaro aumenta il costo del rimborso”.
Secondo l’ufficio statistico europeo Eurostat, quasi la metà dei prodotti importati nell’Eurozona sono fatturati in dollari, contro meno del 40% in euro. È il caso di molte materie prime, a partire dal petrolio e dal gas, i cui prezzi sono già aumentati negli ultimi mesi a seguito della guerra in Ucraina. Ma con il deprezzamento della moneta europea, sono necessari più euro per acquistare prodotti importati in dollari. Ciò contribuisce ad aumentare l’inflazione. Poiché gli aumenti salariali non vanno di pari passo, il potere d’acquisto delle famiglie è minacciato. In secondo luogo, il deprezzamento dell’euro rispetto al dollaro rallenterà i flussi turistici degli europei, soprattutto negli Stati Uniti. Poiché hanno bisogno di più euro per pagare lo stesso importo in dollari, il costo del loro soggiorno aumenterà negli Stati Uniti e nei Paesi la cui moneta è ancorata al dollaro. Al contrario, i turisti americani traggono vantaggio dal tasso di cambio: durante i loro soggiorni in Europa, possono spendere di più con la stessa quantità di dollari.
Resto perplesso e scettico. Però, non è colpa della parità, ma della mia ignoranza in materia.
LUCIANO COSTA