Fra i film che hanno fatto la storia del cinema (Ben Hur, Via col vento, Quarto Potere, Casablanca, La Dolce vita…) ce n’è uno interamente dedicato alla capacità dell’uomo di mentire, se necessario anche a se stesso. Quel film, vincitore di un Premio Oscar, racconta la misteriosa uccisione di un samurai e del conseguente processo: la particolarità di «Rashomon» sta nel fatto che tutti i possibili sospettati e testimoni del delitto mentono per salvare se stessi e far ricadere la colpa su qualcun altro.
Tutti i protagonisti del caso (un brigante, un boscaiolo, un monaco, un passante, una donna vittima di stupro…) davanti al giudice raccontano la propria verità di comodo, in un crescendo di vigliaccheria e di bugie.
A 72 anni di distanza e dopo più due mesi di guerra è un po’ ciò che sta succedendo nella narrazione del conflitto fra Russia e Ucraina: anche se le responsabilità di Vladimir Putin sono evidenti e non ammettono giustificazioni, su come e perché si sia arrivati all’invasione russa e su cosa stia effettivamente succedendo fra Kiev e Mariupol le teorie sono tutt’altro che univoche.
I bravissimi inviati di guerra di giornali e tv di tutto il mondo, ogni giorno rischiano la vita per testimoniare la distruzione delle città, il massacro dei civili, la scoperta delle fosse comuni, gli abusi dei mercenari sulla popolazione inerme e la grande fuga di chi è costretto a lasciare casa, lavoro e famiglia per rifugiarsi in un luogo sicuro. Nonostante i rischi e le difficoltà oggettive, tanto viene svelato dai giornalisti.
Eppure, la sensazione è che «tanto» non sia sufficiente per capire tutto. Cresce il dubbio che ci siano alcune verità inconfessabili e – proprio come in «Rashomon» – ci siano tante verità di comodo, anziché una sola: quella vera. Resta ambiguo, per esempio, il ruolo del famigerato Battaglione Azov, l’unità militare ucraina ritenuta di orientamento neonazista. E resta il dubbio se sia Zelensky, l’ex attore diventato Presidente ed eroe della resistenza ucraina, a usare l’Occidente per raggiungere i suoi obiettivi o se siano la Nato, l’Ue, Londra e Washington a usare Zelensky per umiliare Putin e mettere in ginocchio la Russia.
L’unica certezza è che finora a pagare il prezzo della guerra sia stata e sia la povera gente, carne da macello di una macchina infernale di cui non si conoscono l’origine, la meta e il guidatore.
«Il popolo, che sia ucraino o russo, paga con la vita di donne, vecchi e bambini una guerra che non capisce. Di fronte a tutto ciò che sta succedendo si chiede perché e non trova risposta», ha raccontato ieri alla nostra Lucilla Granata una madre fuggita a piedi da Mariupol e riabbracciata dalla figlia che vive a Cremona. «Sotto i bombardamenti ci proteggevamo la testa usando l’unica cosa che avevamo: le pentole – ha rivelato la sopravvissuta nella sua drammatica testimonianza -. Quando la nostra casa è stata distrutta, siamo scappati senza sapere dove andare, correndo fra i cadaveri abbandonati, insieme a cani affamati e impauriti come noi».
A un certo punto sono stati i russi ad accogliere lei, il marito e gli altri profughi in fuga. A nutrirli e ad accompagnarli fino alla frontiera con la Bielorussia e, da lì, alla salvezza. Civili russi che salvano ucraini in fuga dai soldati russi. Una delle tante contraddizioni della guerra. In questo caso, un’assurdità positiva – una pagina eroica, una nuova Schindler’s List – che conferma la follia di un conflitto fratricida, destinato a lasciare ferite profondissime, chissà se rimarginabili, cui bisogna mettere fine prima possibile.
Pare che Putin abbia cerchiato in rosso sul calendario la data del 9 maggio, nell’anniversario della vittoria russa sui nazisti nella Seconda Guerra mondiale, quando la bandiera rossa fu fatta sventolare sul Reichstag di Berlino. Non proprio il 25 Aprile che in Italia abbiamo celebrato ieri, ma qualcosa di simile.
Il problema è che al 9 maggio mancano più di due settimane e da qui ad allora questa assurda guerra farà altre, troppe, vittime innocenti. Rilanciare le trattative di pace – o quanto meno – arrivare a un immediato cessate il fuoco sarebbe il modo migliore per celebrare la Liberazione. In attesa di scoprire la vera verità, come alla fine di «Rashomon». Certo, al cinema è molto più facile. Nella realtà sarà mai possibile?
MARCO BENCIVENGA
Direttore “La Provincia di Cremona”