Alzate gli occhi e guardatevi attorno. Se non vi siete trasferiti su Marte, vedrete lo stesso panorama che vedo io: città e paesi tornati a vivere; fiumi di persone che hanno ripreso ad animare vie, piazze, bar, università e uffici; negozi e ristoranti aperti, al pari di cinema, teatri, musei, stadi e da venerdì sera perfino le discoteche. Certo, rispetto a un tempo ci sono alcune limitazioni e dobbiamo continuare a rispettare alcune precauzioni: indossare la mascherina nei luoghi più affollati e al chiuso, rispettare il distanziamento sociale evitando gli assembramenti, lavarci le mani (e possibilmente lasciare le scarpe sullo zerbino) quando torniamo a casa. I nuovi «comandamenti» del vivere comune restano in vigore. Nel complesso, però, in questo momento la realtà che abbiamo davanti ai nostri occhi è più simile alla vita pre-pandemia che alla clausura di marzo e aprile 2020, quando eravamo barricati in casa, le città sembravano spettrali, le strade erano deserte e tutte le porte sbarrate a doppia mandata. Quando – non va dimenticato – eravamo terrorizzati da un virus terribile e sconosciuto, l’unico suono che sentivamo era l’urlo straziante delle ambulanze ed eravamo disposti a qualsiasi sacrificio pur di aver salva la vita. La nostra e quella dei nostri cari. Tutto questo perché toccavamo con mano le tragiche conseguenze del Coronavirus: le vedevamo con i nostri occhi, non alla tv.
In provincia di Cremona il Covid ha ucciso 1.531 persone. Oltre mille e cinquecento vittime in una provincia di 350 mila abitanti sono un numero spaventoso, il doppio rispetto alla media nazionale: significa che ogni cremonese piange la morte di almeno un familiare, un vicino di casa, un conoscente o un collega di lavoro. Non meno pesante il bilancio delle altre province, addirittura mostruoso quello riferito al mondo intero. Terribile. A questo si aggiunge la conta dei danni materiali e le gravissime ripercussioni provocate dal lockdown del 2020 sull’economia: migliaia di aziende in difficoltà, se non costrette ad alzare bandiera bianca; attività commerciali chiuse per sempre; la ripresa frenata dalla mancanza di forniture e dal rincaro delle materie prime. Ancora: milioni di posti di lavoro ad alto rischio in tutto il mondo. Il panorama è post bellico. Ciònonostante, oggi possiamo guardare avanti. Possiamo provare a rialzarci e ripartire. E tutto questo è possibile soltanto grazie ai progressi compiuti dalla medicina, che ha imparato a gestire il virus (anche se si continua a morirne, come abbiamo visto), ma soprattutto grazie all’ampia diffusione del vaccino, l’antidoto che offre lo scudo più sicuro contro il contagio. In sostanza, da alcuni mesi siamo ufficialmente entrati nella fase 2 della pandemia: non abbiamo debellato il virus, ma stiamo imparando a conviverci. Come succede con qualunque altra malattia.
Così, se – anziché essere noi a trasferisci su Marte – fosse un marziano a sbarcare sulla Terra, quasi certamente si chiederebbe dov’è la «dittatura» di cui sente tanto parlare? Dov’è la tirannia che spinge alcuni umani a scendere in piazza e a mettere in scena la più assurda delle commedie, l’assalto alla sede di un sindacato, la devastazione di uffici e vetrine, le barricate in mezzo alle strade, i blindati della polizia sballottati dalla folla come se fossero tappi di sughero in balìa di un mare in tempesta… La risposta è evidente: il vaccino e il Green pass non sono la vera ragione di tanta follia collettiva, ma solo un alibi, una scusa. Il vero problema è il malessere economico e sociale di troppa gente, l’ira di ampi strati di popolazione che si sentono esclusi dai processi decisionali e, ancor più, da quella falsa immagine di «bella vita» che i social propongono di continuo, come modello vincente e da inseguire a tutti i costi.
Da qui il senso di frustrazione di chi vorrebbe ma non può, di chi si sente (o forse lo è davvero) vittima di un’ingiustizia, di chi non trova lavoro e ha capito che il reddito di cittadinanza non è una soluzione, al massimo un’illusione temporanea, un miraggio, se non addirittura un’autentica truffa. E allora – dato che siamo tutti d’accordo, ma proprio tutti, sul fatto che il vero colpo mortale per il Paese e per il mondo intero sarebbe un nuovo lockdown – vale la pena porsi la domanda delle domande: a chi giova soffiare sul fuoco? Chi ha interesse ad alzare la tensione cavalcando le proteste contro il vaccino e il Green pass? Chi getta benzina sulle fiamme? E perché lo fa? Qual è l’obiettivo finale? Trovare risposta a questi quesiti, probabilmente, chiarirebbe molte cose. E – prima che sia troppo tardi – disinnescherebbe la bomba atomica sulla quale purtroppo siamo seduti.
MARCO BENCIVENGA
Direttore “La Provincia di Cremona”