Chi soffia sul fuoco?

Un solo fattore di rischio sarebbe sufficiente per giustificare lo stato di emergenza. Due fattori concomitanti rappresentano una miscela esplosiva, più pericolosa del celebre cocktail Molotov. Purtroppo, sommando gli effetti del cambiamento climatico alla sciagurata attività dei piromani, l’estate 2021 passerà alla storia come la più rovente di sempre, in Italia e nel resto del mondo: dalla Grecia alla Siberia, dall’Africa centromeridionale all’America del Sud. Lo testimoniano inequivocabilmente le immagini diffuse in queste ore dalla Nasa: roghi e incendi sono talmente estesi da essere visibili dai satelliti che orbitano attorno alla Terra, migliaia di chilometri sopra le nostre teste. Non bastasse la pandemia, il fuoco è il nuovo flagello che minaccia l’umanità, come se all’improvviso tutti i nodi di uno sviluppo senza regole venissero al pettine.

Per anni i massimi esperti mondiali dell’ambiente hanno lanciato l’allarme, mettendoci in guardia dai rischi della deforestazione incontrollata, dell’inquinamento, della sistematica immissione di gas nell’atmosfera, e ci hanno invitati a tenere d’occhio alcuni importanti indicatori: l’innaturale aumento delle temperature, il progressivo scioglimento dei ghiacciai di montagna, l’assottigliarsi della calotta artica, l’impercettibile (per ora) ma inarrestabile innalzamento dei mari… Li abbiamo ignorati, zittiti come cassandre, catastrofisti e menagramo. Di più: abbiamo fatto spallucce.

E leader senza scrupoli come Donald Trump hanno perfino disdetto impegni che i rispettivi Paesi avevano assunto davanti alla comunità internazionale per provare a ridurre i deleteri effetti dell’industrializzazione selvaggia e dell’antropizzazione senza regole (si definisce così ogni intervento dell’uomo che altera gli equilibri naturali di un territorio per adattarli alle sue esigenze). Non che sia tutta colpa dell’ex presidente Usa, ci mancherebbe: a ogni latitudine tanti piccoli e grandi dittatori subordinano la salute del pianeta ai propri interessi di bottega. E le conseguenze sono devastanti: in molti mari galleggiano sterminate «isole» di rifiuti non biodegradabili, tante praterie africane sono diventate apocalittiche discariche a cielo aperto, nelle terre più lontane dai guardiani dell’ambiente industrie senza regole producono più veleni di quanti riusciamo a evitarne tutti noi, messi assieme, ogni volta che ci impegniamo a separare le scatolette di tonno dalla carta dei giornali, o la plastica degli imballaggi dalle bottiglie di vetro, nella spazzatura che affidiamo a chi si fa carico di smaltirla e (purtroppo solo in piccola parte) riciclarla.

Gli incendi e le temperature record di questa infuocata estate sono probabilmente l’ultimo allarme che Madre Terra ci lancia prima che sia troppo tardi. All’alba del 2021 stiamo forse iniziando a capire che il futuro dei nostri figli, nipoti e pronipoti è minacciato dall’alterazione di equilibri ambientali fragilissimi. Non a caso, sostenibilità e transizione ecologica sono due delle clausole alle quali l’Unione Europea ha subordinato l’erogazione dei miliardi di euro del Recovery Plan: solo i Paesi che dimostreranno un reale impegno a difesa dell’ambiente potranno accedere ai fondi stanziati per rilanciare i consumi, modernizzare i servizi pubblici e mitigare i danni provocati dalla pandemia. È un primo passo decisamente significativo nella direzione giusta. Ma i soldi non bastano (in tutti i sensi): per invertire davvero la rotta e provare a evitare la prematura fine del pianeta Terra servono un salto culturale collettivo, una nuova consapevolezza diffusa, impegni precisi, sostegni reali all’economia green e pene severissime per chi si ostina a privilegiare la ricerca del massimo profitto alle ragioni dell’ambiente. Le stesse pene che andrebbero applicate ai piromani, criminali senza scrupoli disposti a causare un danno immenso alla collettività pur di ottenere un piccolo guadagno individuale. Irresponsabili assoluti, che sarebbe giusto equiparare ai terroristi per la portata dei guasti che provocano con le loro azioni.

Servono leggi più severe, magari senza arrivare agli eccessi di Napoleone, l’imperatore di Francia che secondo il settimanale «Le Bois» nel 1808 si rivolse così al responsabile di una regione devastata dai roghi: “Signor Prefetto, ho appreso che vari incendi hanno recentemente danneggiato i boschi del Dipartimento affidato alle cure della Signoria Vostra: poiché ciò deve assolutamente cessare, Ella mi userà la cortesia di fucilare sul posto le persone sospette d’aver dolosamente provocato tali incendi. Che se poi questi non cessassero, penserò io a darLe un successore». Altri tempi, altri rimedi. Ma la necessità di inasprire le pene per chi appicca fuochi dolosi resta.

Il Governo Draghi avrà la forza di adottare una legislazione speciale come altri governi fecero in passato per contrastare mafia e terrorismo politico? Speriamo di sì. In fondo, a causa della pandemia il Parlamento già da un anno e mezzo ha dichiarato lo Stato di emergenza e dispone di poteri speciali: al netto delle perplessità sulla legittimità costituzionale di una simile delega, se ne potrebbe approfittare…

MARCO BENCIVENGA

Direttore “La Provincia di Cremona”

Altri articoli
Editoriale

Potrebbero interessarti anche

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Compila questo campo
Compila questo campo
Inserisci un indirizzo email valido.
Devi accettare i termini per procedere