No, “La Provincia fi Cremona” di cui sono responsabile, non ha cambiato direttore! Di nuovo c’è solo il mio cognome: oggi firmo il tradizionale Punto con quello di mia madre: Serra, anziché con il paterno Bencivenga che mi accompagna e identifica da sempre. Grazie all’ultima pronuncia della Corte Costituzionale presto la stessa possibilità sarà offerta per legge a ogni nuovo nato. Gli uffici Anagrafe dei Comuni non sono ancora pronti, perché per passare dai principii alla pratica servono una legge e i decreti attuativi, ma la pronuncia della Consulta ha tracciato la strada: entro pochi mesi i neo genitori non dovranno decidere soltanto con quale nome chiamare il proprio figlio o la propria figlia (Piero, Anna, Bruno, Samantha…) ma ne potranno scegliere anche il cognome.
Tre le possibili opzioni: 1) il cognome del padre, come è sempre stato finora; 2) il cognome della madre, in onore alle pari opportunità; 3) entrambi i cognomi, per sottolineare l’assoluta parità di diritti e di doveri fra mamma e papà all’interno della famiglia. La rivoluzione è stata accolta con favore dalla stragrande maggioranza degli italiani, nonostante mille e mille anni di tradizione patriarcale: evidentemente non è mai troppo tardi per evolversi, allineandosi ai Paesi europei nei quali la norma è già in vigore da tempo. Semmai, in prospettiva preoccupa la possibile crescita esponenziale dei doppi cognomi, che rischiano di diventare quattro alla seconda generazione e addirittura sedici dopo due! In Spagna hanno risolto il problema offrendo a ogni maggiorenne con doppio cognome la possibilità di scegliere quale dei due trasmettere ai propri figli e quale, invece, condannare all’estinzione.
Più complicato prevedere cosa succederà in caso di divorzio: oltre alla casa, alle stoviglie e agli alimenti, in futuro i genitori separati si spartiranno anche il cognome dei figli? E sarà possibile che due fratelli abbiano cognomi diversi? Dettagli. Ciò che conta non sono gli impicci, ma il principio, il segnale, la svolta. E l’indicazione della Consulta è chiarissima: mamma e papà hanno pari dignità di fronte ai figli. Dovrebbe essere la regola. Non a caso il matrimonio impone a entrambi i genitori l’obbligo di «mantenere, istruire, educare e assistere moralmente» la prole (articolo 147 del Codice Civile). Il problema è che – per quanto i nuovi padri abbiano imparato ad accudire i figli molto più dei loro genitori – nella vita reale la parità resta spesso teorica, finendo per scontrarsi con i più antichi cliché: padre «capofamiglia», madre costretta a sdoppiarsi – anzi, a triplicarsi – fra lavoro, gestione della casa e cura dei figli.
Come ha puntualmente osservato qualcuno, la vera parità fra uomo e donna sarà raggiunta solo quando a una astronauta in partenza per lo spazio saranno rivolte domande tecniche, anziché chiederle a chi affiderà i propri figli durante la missione, come è successo a Samantha Cristoforetti. O quando dai moduli per la ricerca di un nuovo lavoro sparirà la domanda riservata alle donne sull’intenzione o meno di avere figli (tema sempre d’attualità, ma ancor di più quandio il calendario segna Primo Maggio, festa dei lavoratori). Tanti passi devono essere compiuti per arrivare a una vera parità di genere, ma più di tutto conta aver fatto il primo: gli altri arriveranno di conseguenza. Anche perché la Consulta non ha «suggerito» al Parlamento come scrivere la nuova legge (consiglio spesso disatteso da deputati e senatori dopo precedenti sentenze).
Più semplicemente – e senza via di fuga – la Corte ha dichiarato incostituzionali tutte le norme che vietano l’uso del cognome materno. Non ha prescritto ciò che va fatto, ma ha bandito ciò che non si può fare: discriminare. Lo ha stabilito per il futuro, ma anche per il passato: quando la legge entrerà in vigore, ogni figlio potrà rinegoziare la scelta dei suoi genitori. Come presidente della Repubblica potremmo avere Sergio Buccellato, anziché Mattarella; come presidente del Consiglio Mario Mancini, anziché Draghi; come ct della Nazionale di calcio Roberto Puolo, anziché Mancini. Un piccolo terremoto, anche se la rivoluzione sarà compiuta solo quando vedremo una donna al Quirinale, a Palazzo Chigi o sulla panchina azzurra, non uomini «ribattezzati» con il cognome della mamma.
MARCO BENCIVENGA
Direttore “La Provincia di Cremona”