Editoriale

Covid, guerra, inquietudine…

“Scusi… Entro con la mascherina o senza?”. Dopo 26 mesi di pandemia, lockdown, autocertificazioni, Dpi e Dpcm – soprattutto, dopo 26 mesi di emergenza, di divieti e di lutti – il ritorno alla normalità è inebriante e difficile allo stesso tempo. Inebriante perché nulla dà più euforia della libertà ritrovata dopo averla persa; difficile perché la nostra mente non ha un tasto on/off che le permetta di passare in un istante da una modalità a un’altra. L’incubo Covid si è talmente stratificato nel nostro inconscio da rendere estremamente complicata, oggi, la ricerca del giusto punto di equilibrio fra prudenza e cessato allarme. Innanzitutto perché grazie alla vaccinazione di massa il rischio di morire o finire in terapia intensiva si è drasticamente ridotto, ma non è completamente scomparso (4 milioni di nuove positività e oltre 10 mila vittime in Italia da quando il Governo ha annunciato la fine dello stato di emergenza); in seconda battuta perché, svanito un incubo, ne è subito iniziato un altro (l’invasione dell’Ucraina, con le bombe su case, scuole e ospedali e lo spettro di un conflitto nucleare che aleggia minaccioso sulle nostre teste). E la nostra mente non è attrezzata per gestire simili stress. Anche perché, non bastassero le crisi planetarie, ci sono tutte le preoccupazioni individuali: il posto di lavoro a rischio, il mutuo da pagare, l’impennata dei prezzi della spesa e delle materie prime, le liti per il parcheggio, le separazioni conflittuali, i divorzi, le preoccupazioni per i figli che non studiano o, peggio ancora, frequentano cattive compagnie…

In un simile clima psicologico oggi diventa difficile perfino sedersi a teatro e ritrovarsi gomito a gomito con il vicino di posto senza provare una punta di fastidio (eppure, prima della pandemia era assolutamente normale); ci sembra strano entrare in ufficio o in un bar senza dover esibire il green pass; addirittura ci capita di non riconoscere una persona che abbiamo iniziato a frequentare quando indossava la mascherina e – ora che la Ffp2 non è più obbligatoria – scopriamo che ha un volto diverso da come l’avevamo immaginato. Servirà molto tempo per lasciarci alle spalle due anni così stressanti, per ritrovare le vecchie abitudini, per recuperare tutto ciò che ai nostri occhi era ovvio, normale, scontato e invece abbiamo scoperto essere una fortuna, una conquista, a volte un privilegio. Servirà tempo, e forse il tempo non sarà abbastanza, perché alcune cicatrici rimarranno – indelebili e profonde – e perché nel frattempo alcune cose sono cambiate per sempre. Non necessariamente in negativo. Il lockdown, per esempio, ci ha insegnato che possiamo fare tante cose a distanza, senza bisogno di spostarci, di restare imbottigliati nel traffico, di inquinare l’ambiente. La pandemia ci ha fatto scoprire la comodità del delivery, la possibilità di farci portare a casa la spesa, il pranzo o la cena (ma così facendo che ne sarà dei negozi di prossimità e dei ristoranti?). Il distanziamento forzato ci ha fatto riempire le case di maxi schermi 4K, impianti dolby surround e canali tv on demand (ma a questo punto a chi servono i cinema e le multisale?). “Nulla sarà più come prima” ci ripetevamo durante i giorni più bui della pandemia. Era vero e adesso stiamo capendo cosa significa, nel bene e nel male. Il presente ci inquieta, prima ancora del futuro, ma la regola numero uno del manuale di autodifesa è non aver paura. Piuttosto, pensiamo che: 1) se siamo ancora qui significa che ci è andata bene; 2) cambiare è sempre un’opportunità, mai una condanna; 3) il mondo va avanti, nonostante tutto, e l’unico errore sarebbe stare fermi, arroccarsi, opporsi al nuovo che avanza. Meglio fare un respiro profondo, liberare la mente (pur senza dimenticare ciò che è stato e chi non c’è più) e – semplicemente – tornare a vivere. Subito. Ora.

MARCO BENCIVENGA

Direttore “La Provincia di Cremona”

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