Guerra e interessi economici

La miglior sintesi del conflitto russo-ucraino, dopo ormai quattro settimane di invasione che fin qui ha provocato migliaia di morti e almeno dieci milioni di persone costrette a fuggire altrove, l’ha fatta il sindaco di Dnipro, la terza città dell’Ucraina dopo Kiev e Charkiv: «Io sono russo, mia madre è russa, mio padre è russo, nel corpo non ho neanche una goccia di sangue ucraino. Ora però si sono spalancati i cancelli di Mordor e ondate di mostri arrivano dalla Russia per distruggerci. Il problema è che chi attacca la mia casa e sono costretto a uccidere è russo come me. Assurdo. Non avrei mai pensato che chi si dice fratello potesse venire qui a bombardare ospedali, scuole, ammazzare civili, sfiorare la Terza guerra mondiale. Ma cosa pensavano Putin e i suoi generali quando hanno pianificato l’invasione? Che li aspettassimo con i fiori?».

Gli interrogativi posti da Borys Albertovich Filatov inquadrano alla perfezione lo stupore del mondo, lo smarrimento di chi si chiede perché all’improvviso uno zar «impazzito» abbia mosso i carri armati e duecentomila soldati per riappropriarsi di una terra che un tempo apparteneva all’impero sovietico, ma dal 1991 ha scelto di essere una Repubblica indipendente.

In realtà, al netto della pazzia di Putin, alcuni «perché» esistono. Per trovarli bisogna scavare sotto la crosta: come insegnava Giovanni Falcone parlando di mafia, per scoprire la verità basta seguire il flusso dei soldi. Per capire le ragioni della guerra basta indagare gli interessi economici che le stanno a monte e che, in un drammatico effetto domino, stanno provocando risultati devastanti in mezzo mondo: il più evidente è l’impennata dei prezzi del gas, dell’energia e dei carburanti, che fa schizzare il caro vita e ha già portato alcune fabbriche a spegnere gli impianti e fermare la produzione.

Non meno rilevante è la gestione del mercato delle materie prime, un tempo carbone e petrolio, oggi litio e silicio, ma anche grano, fertilizzanti e rottami ferrosi. Al terzo posto il grande business della ricostruzione che verrà.

In questo scenario, che è il vero risiko della guerra, non si muovono solo Russia e Ucraina, Europa e Stati Uniti, ma anche altri soggetti, che al momento sembrano semplici spettatori e, invece, sono pescatori seduti sulla riva del fiume, in attesa che passi il cadavere dei nemici, per poi gettare le proprie reti e raccogliere il maggiore bottino di guerra possibile.

In prima fila, canna e mulinello fra le mani, c’è la Cina, che garantisce un ambiguo sostegno alla Russia (mercato di riferimento del futuro) ma sta ben attenta a non urtare più l’Occidente (che oggi le garantisce gli affari migliori). Sull’altra sponda del fiume, in fiduciosa attesa, ci sono gli Emirati Arabi Uniti, nuovo rifugio degli oligarchi in fuga da Londra e dalla confisca dei loro beni di lusso: Dubai sarà il nuovo paradiso dei russi ricchi e spendaccioni. Contemporaneamente, scommettono gli esperti, il mercato immobiliare di Londra crollerà e non se la passeranno bene neppure Forte dei Marmi, Saint Tropez, il lago di Garda e la Costa Smeralda, le mete turistiche preferite.

La verità è che la crisi russo-ucraina rappresenta un inatteso punto di svolta nella storia del mondo: in qualsiasi modo andrà finire, nulla sarà più come prima. Non solo cambieranno i rapporti di forza fra le storiche grandi potenze, ma nuovi saranno anche i paramenti di ammissione a quel club esclusivo che un tempo si chiamava G7, G8 o (in alcuni casi, bontà loro) G20. Fino ad oggi il pass code per entrare nella sala dei bottoni della finanza mondiale era il Pil, la potenza economica di ogni Paese. Presto, invece, a decidere le sorti del mondo non sarà chi è più ricco, ma chi avrà la maggior disponibilità di materie prime e il controllo delle fonti energetiche.

Non solo. Sempre maggiore importanza assumerà il fattore demografico, con due giganti (Cina e India) che da soli contano quasi tre miliardi di abitanti. E lo faranno pesare. Nel frattempo la crisi ucraina farà tante vittime innocenti, ma anche nuovi ricchi e nuovi super fortunati. Vladimir IV potrebbe addirittura averlo pianificato. Ma potrebbe anche aver sbagliato i calcoli. In fondo, qualche problema con l’aritmetica lo deve avere, se pensava di risolvere tutto in tre giorni e dopo venticinque è ancora impantanato nel fango della steppa ucraina.

«Se qualcuno proverà a ostacolarmi, alla fine della guerra non ci saranno vincitori», aveva ammonito all’inizio del conflitto evocando la minaccia nucleare. Potrebbe essere un bluff, l’ennesima bugia. Così, almeno, sembrano pensarla le Borse di tutto il mondo, che scommettono sul lieto fine. Aveva proprio ragione Giovanni Falcone: segui i soldi, e troverai tutte le risposte che cerchi.

MARCO BENCIVENGA

Direttore “La Provincia di Cremona”

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