Sono già quasi cinquemila le persone fermate in Russia dall’inizio delle proteste contro la guerra. Per loro il carcere e di sicuro una condanna che li metterà ai margini della società. “Ma la libertà – ha detto una delle manifestanti – merita il mio sacrificio”. Davanti alle proteste, sempre più massicce, il potere ha usato e usa il pugno forte. E come se non bastasse, vi ha aggiunto la censura. La Roskomnadzor, l’authority per le telecomunicazioni, ha minacciato 10 testate imponendo loro di rimuovere i contenuti riguardanti la guerra in Ucraina. La loro “colpa” è di avere parlato chiaramente di invasione e non di generica “operazione militare” e di aver reso conto delle vittime civili morte durante le operazioni di questi primi giorni di guerra. Ma poi, per fortuna, c’è una Mosca che, nonostante tutto, non vuole rinunciare a fare sentire la sua voce. Dmitrij Muratov, direttore di Novaya Gazeta e premio Nobel 2021 per la Pace, ha espresso “vergogna e dolore” per la guerra contro l’Ucraina, attaccando in modo frontale Vladimir Putin. “Il capo sventola l’arma nucleare come il portachiavi di una macchina costosa. Quale sarà il prossimo passo? Non posso –ha scritto – interpretare in altro modo le parole di Putin quando parla di ritorsione. Solo un movimento contro la guerra che parta dai russi può salvare questo pianeta”. Il quotidiano Sovetsky Sport, è andato in edicola con un grande quadrato nero in prima pagina e la scritta “non è il momento per parlare di calcio”. Yelena Kovalskaya, direttrice del centro teatrale Meyerhold, ha annunciato le dimissioni dal suo incarico, spiegando che “è diventato impossibile lavorare per un assassino e vedersi pagato lo stipendio da quest’ultim”. Come risposta, in tutto il Paese sono comparsi cartelloni con il ritratto di Putin e la scritta “non potevamo fare altrimenti”, seguita dalla scritta my yedini, siamo uniti. Uniti, però in un Paese spaccato in due. Intanto la guerra all’Ucraina continua e causa lutti. Oggi, le delegazioni di Ucraina e Russia si incontrano per riallacciare le fila di un dialogo interrotto con la violenza e la protervia di un capo che la storia ha già collocato nelle pagine riservate ai fantocci. Lontani, ma vicini al dramma, ci sono tanti che non smettono di raccontare e di spiegare (lo fa Marco Bencivenga nel fondo che pubblichiamo di seguito) Putin e la Russia, la Russia e Putin… (Luciano Costa)
La follia dell’uomo forte…
Quando in politica si invoca l’Uomo Forte, a volte si dimentica che poi l’Uomo Forte diventa depositario di un potere quasi assoluto e contrastare le sue decisioni – se necessario – si complica parecchio. Passi (si fa per dire…) finché si tratta di politica interna, ma il problema diventa estremamente serio quando le sue decisioni varcano le frontiere e infrangono le regole della comunità internazionale, propria come giovedì ha fatto Vladimir Putin occupando un Paese straniero con i propri carri armati. In fondo, perché stupirsi? Cosa potevamo aspettarci di diverso da un presidente al quarto mandato che già nel 2014 si era «ripreso» la Crimea e nel 2020 ha cambiato la Costituzione per garantirsi la possibilità di restare in carica fino al 2036, quando avrà ormai 84 anni? Altro che il bis di Sergio Mattarella al Quirinale!
L’ex funzionario del KGB che pratica le arti marziali, vive con cinque cani e ama le canzoni degli Abba, dal 1999 è il padrone assoluto della sesta potenza economica al mondo dopo Cina, Usa, India, Giappone e Germania. A tutti gli effetti, è un nuovo Zar, che nel giorno in cui ha invaso l’Ucraina ha dichiarato apertamente di voler ricostituire l’ex impero sovietico, quell’Urss che è implosa nel 1991, dando vita a numerose repubbliche indipendenti. Per i nostri figli l’Unione Sovietica è archeologia di un passato che non c’è più, da studiare sui libri di storia, esattamente come l’ex impero romano (27 avanti Cristo-284 dopo Cristo, da Lisbona a Costantinopoli) o l’ex impero britannico (1607-1997, dal Canada all’Oceania, passando per Sudafrica e India).
«Putin è dalla parte sbagliata della storia», hanno commentato i leader del G7 dopo che i primi soldati russi hanno varcato i confini ucraini. Peccato che il Nuovo Zar abbia risposto con un’alzata di spalle. D’altra parte, mica l’ha improvvisata la campagna di Kiev: la progettava da anni e la stava preparando da mesi, partecipando ai minuetti delle diplomazie solo per guadagnare tempo. Con grande cinismo Putin ha calcolato che la risposta degli Stati Uniti e dell’Europa al suo atto di forza non potrà mai essere militare, pena lo scoppio della Terza (e ultima?) Guerra Mondiale.
E ha messo in conto anche il costo economico delle sanzioni che dovrà subire: al massimo, ha fatto capire, sposterà i suoi affari in Cina, la grande potenza già pronta a offrirgli un salvagente e una sponda. Mal che vada, il leader del Cremlino si arrangerà, fedele al motto che ama di più: «La Russia ha due soli alleati: il suo esercito e la sua flotta». Copyright di Alessandro III, lo zar cui Putin ha dedicato una statua di bronzo alta quattro metri, personalmente inaugurata a Yalta, la città sul Mar Nero che nel 1945 ospitò il celebre incontro fra Stalin, Churchill e Roosevelt in cui fu deciso l’assetto politico internazionale al termine della Seconda Guerra Mondiale.
È proprio vero che la storia, come certi amori, fa giri immensi e poi, a volte, ritorna. Ora Putin vuole riscriverla e i presidenti di Lituania, Estonia e Lettonia hanno già lanciato l’allarme: dopo l’Ucraina, temono, toccherà a loro. Neppure in Polonia, in realtà, si sentono tranquilli e questo la dice lunga sulla portata del pericolo Putin, improvvisamente deflagrato a livello planetario. Le fonti di intelligence definiscono il presidente russo un uomo sempre più solo, autoritario, ossessionato dal potere e dal sospetto. I due anni di pandemia pare abbiano accentuato il suo isolamento: Putin li ha vissuti in una bolla quasi impenetrabile, distante – non solo fisicamente – perfino dai suoi più stretti collaboratori.
La politologa russa Tatiana Stanovaya ne ipotizza addirittura una deriva mistica. Vladimir IV si sentirebbe investito di una missione divina: riunire «i fratelli russi» separati da quella che considera «la più grande tragedia geopolitica del XX secolo», la dissoluzione dell’Unione Sovietica, appunto. Quale che sia la verità, una cosa emerge con grande evidenza: democrazia e libertà non vanno a braccetto con l’Uomo Forte. Soprattutto, mai affidare a un solo uomo i «pieni poteri». Del resto, non hanno mai portato grande fortuna neppure a tutti quelli che li hanno pretesi. O semplicemente evocati…
MARCO BENCIVENGA
Direttore “La Provincia di Cremona”