Editoriale

Il ricordo di Vialli non deve restare un fuoco fatuo..

La prematura scomparsa di Gianluca Vialli ha suscitato un’onda di commozione e di rimpianto senza precedenti. Nelle ultime 48 ore ogni giornale, ogni sito e ogni tg d’Italia (e non solo) ha dedicato enorme spazio alla notizia che era nell’aria da tempo ed è definitivamente deflagrata venerdì, quando la famiglia Vialli da Londra ha diffuso l’annuncio più temuto. Anche sui social il fenomeno ha assunto proporzioni da record: su Facebook, su Twitter, su Instagram e perfino su TikTok (la piattaforma preferita dai giovanissimi, quelli che non erano neppure nati quando Gianluca tirava calci a un pallone) milioni di utenti hanno pubblicato fotografie, condiviso ricordi o dedicato un “riposa in pace” al campione cremonese. Una simile ondata di lacrime e di omaggi ha una sola spiegazione, al netto di una piccola quota di esibizionismo: Gianluca Vialli era un modello universale, il campione amato da tutti, il giocatore stimato nella sua Cremona come a Genova, Torino e Londra – le quattro capitali della sua carriera sportiva – ma ricordato con affetto e ammirazione anche in tutte le città in cui era sceso in campo da avversario o indossando la maglia della Nazionale, portata per la prima volta negli anni ‘80 e idealmente nascosta sotto la giacca di “capo delegazione” sul prato di Wembley nella trionfale estate del 2021.

Nell’iconico abbraccio a Roberto Mancini, il gemello di sempre, quel giorno c’era tutto il Vialli style: il senso di appartenenza, l’amicizia, la lealtà, l’orgoglio, la forza di andare oltre ogni ostacolo, sempre e comunque. Ma di Gianluca è bello ricordare anche la capacità di sdrammatizzare, l’autoironia, il “non darsi mai delle arie” che ha lasciato in eredità alle figlie Sofia e Olivia, insieme alla ricetta della felicità e ad altri preziosi consigli: aiutare gli altri, migliorare giorno per giorno, parlare di meno, ascoltare di più. Una lezione proposta con l’esempio, prima ancora che con le parole. Anche per questo nelle ultime 48 ore lo struggente addio al “Topolino” cresciuto sul campetto di Cristo Re è stato così corale e sincero: oltre il calciatore il grande pubblico ha riconosciuto l’Uomo, il padre, il figlio. Ha visto Gianluca, il ragazzo di campagna capace di diventare cittadino del mondo, ma senza mai perdere il contatto con la realtà, il legame con la propria terra, il ricordo delle proprie radici.

Non è affatto scontato sul pianeta calcio, un mondo troppo spesso esagerato, fatto di ingaggi spropositati, vizi inconfessabili e potenti simbolismi (dai pali delle porte pitturati di nero nell’Argentina dei dittatori e dei desaparecidos del 1978 alla mantellina imposta a Leo Messi dopo la finale dei recentissimi Mondiali in Qatar). Il calcio talvolta è immorale (solo con il prossimo ingaggio di Cristiano Ronaldo si potrebbero sfamare milioni di bambini africani che muoiono di fame), ma la scomparsa di Vialli – soprattutto il suo esempio, le sue ultime parole, il suo invito a guardare la vita “dalla giusta prospettiva” – lo riscatta e restituisce alla sua dimensione più vera, a una passione senza paragoni, a un tempo in cui le partite finivano con l’intera squadra attorno a un tavolo, per festeggiare la vittoria a pane e salame, anziché su un pullman insonorizzato, ognuno per sé, con il portafogli pieno, ma anche con le cuffie sulla testa per isolarsi dai compagni e dal mondo.

“Addio Re Leone” ha titolato in prima pagina il Mirror, mentre in Italia c’è chi ha definito Vialli “il Lord, il capitano coraggioso, l’amico geniale, il fratello d’Italia”. Definizioni pertinenti, omaggi meritati, come l’idea di intitolare a Gianluca lo stadio di Cremona, con buona pace di Giovanni Zini, lo storico portiere grigiorosso morto al fronte durante la Prima Guerra mondiale. Da un eroe all’altro, nella nostra memoria collettiva c’è posto per tutti. I veri campioni si completano, non si elidono. E da venerdì nel cielo di Cremona brilla una stella in più.

MARCO BENCIVENGA

Direttore “La Provincia di Cremona”

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