Editoriale

La “fiera rapita: è sfida tra Bs e Cr”

Brescia e Cremona non si sfideranno mai a singolar tenzone; però, continueranno a fare-inventare-programmare affinché le rispettive benemerenze e gli indubbi meriti posseduti siano ben visibili e ben goduti dal grande territorio che le circonda. Due anni fa sembrava che le due città, insieme a Bergamo, potessero unire gli sforzi per mettere a disposizione dell’Italia e del mondo il grande patrimonio culturale custodito. Invece, chissà perché, il progetto restrinse gli spazi a Brescia e a Bergamo. Cremona di certo non gradì, ma neppure si scoraggiò: si disse delusa ma anche intenzionata a fare ogni sforzo per far valere i suoi pregi. E se non ci fosse stato l’intoppo del Coronavirus, qualche idea balenata poteva anche concretizzarsi. Un paio di settimane fa Cremona, dopo chiacchiere e troppi si dice, questa volta non mostrare arte, cultura e storia ma per mettere in chiaro che la grande Fiera nazionale del bovino era sua e sua doveva restare, ha dovuto ingoiare la decisione (orchestrata, si dice, niente meno che dalla Coltivatori Diretti nazionale) di spostare la rassegna a Montichiari, in territorio bresciano. Perché e percome, francamente, non si sa. E se Cremona ha detto ampiamente la sua, Brescia ha invece taciuto e acconsentito. Così vanno le cose. Però, insomma, non era forse il caso di far sedere le due province a un tavolo per indurle a trovare un onorevole accordo? Qualcuno sussurra che in tal senso si son fatti non uno ma tanti tentativi e anche che, purtroppo, “con i sordi è difficile colloquiare”. Chi siano i sordi o chi sia il sordo, benché a Cremona siano convinti di saperlo, resta uno di quei misteri la cui origine è forse contenuta nella atavica rivalità che da sempre contraddistingue i mondi agricoli cremonesi e bresciani. Ciò non toglie che Brescia-Montichiari debbano scendere dal classico fico per far sapere come quello che in tanti definiscono un vero e proprio scippo sia potuto accadere e, magari, mettere in chiaro la loro posizione. Intanto Cremona, pur non accusando nessuno di nessun complotto, non rinuncia alla sua Fiera e continua a mettere bene in vista il suo patrimonio, invero notevole, agricolo e zootecnico. E al grido di “su la testa, cremonesi” (che è anche la sintesi del fondo apparso ieri sul quotidiano di Cremona, che di seguito trovate e che vi propongo di leggere) è già in pista per una nuova avventura. (L. C.)  

Su la testa, cremonesi!

Non bastasse la pandemia – con il suo carico di lutti, i contagi in calo ma non ancora estinti, la campagna vaccinale che procede a rilento e i primi, timidi tentativi di riapertura per migliaia di attività ferme da più di un anno – Cremona da un paio di settimane vive un autentico psicodramma: lo scippo della Mostra nazionale del bovino, evento che rappresenta l’identità del nostro territorio, l’architrave dell’intero sistema fieristico locale, il motore pulsante di una bella fetta dell’economia provinciale. Sulle ragioni (e i pretesti) che hanno portato Anafij e Coldiretti a decretare il trasferimento della storica rassegna da Cremona al Centro Fiera del Garda, con sede a Montichiari, sono già scorsi fiumi di parole, anche su questo giornale.

Ma le parole quasi mai risolvono i problemi e, in mancanza di fatti concreti (l’intervento d’autorità del ministero, la marcia indietro di chi ha imposto la forzatura, la rivolta della base costretta a un trasloco tanto immotivato quanto sgradito) dopo due settimane di lacrime e arrabbiature sul tavolo resta una sola certezza: il dado è tratto.

La scelta di Anafij e Coldiretti è definitiva e non esistono margini di ripensamento. Paradossalmente, meglio così. Perché vivere nell’incertezza spesso produce illusioni: meglio sapere la verità. Sempre. Anche quando è scomoda. Vale in economia, in politica, come nella vita di ognuno di noi. Ho una grave malattia? Mi spaventa, come è normale che sia. Ma ora che lo so posso iniziare a curarla, sostenere un intervento, dare corso a una terapia. 

In una parola sola: posso reagire. Affrontare il problema, ideare un piano B, progettare un’alternativa. Perché si può pure perdere una battaglia, ma non è detto che si debba per forza perdere la guerra. Anzi, come dicono gli esperti di tattica e di strategia, a volte è necessario fare un passo indietro per poterne fare due avanti. O per superare un ostacolo, avendo preso un’adeguata rincorsa. Ecco allora che lo strappo lacerante voluto da una parte del mondo agricolo provinciale può diventare un momento di riflessione e di catarsi per l’intero sistema Cremona. Può rappresentare il classico sasso lanciato nello stagno. Può (e deve) innescare una reazione virtuosa.

In fondo, le premesse non sono così negative. Anzi. Le istituzioni e le forze politiche provinciali non sono mai apparse così compatte nell’affermare che di fronte a un simile strappo non si può restare passivi, che una soluzione va trovata, che l’occasione è propizia per ripensare scelte e strategie, per tornare a reclamare investimenti in un territorio che troppo a lungo è stato trattato come Cenerentola, perché altri hanno saputo curare meglio i propri interessi. O perché la provincia non è mai riuscita a fare la voce grossa, quantomeno a ottenere ciò che merita o le spetta. Vale per le infrastrutture, ma non solo. Allo scippo della Mostra del bovino Cremona può (e deve) rispondere progettando un nuovo modo di fare fiera. Che significa sostanzialmente fare business, perché – al netto del folklore e delle passerelle – questo è sempre stato il fine ultimo di ogni rassegna: far incontrare domanda e offerta, acquirenti e fornitori, produttori e consumatori.

 In fiera ci si trovava per fare affari, per stringersi la mano, per scoprire le ultime novità, perfino per spiare la concorrenza. E anche se i tempi sono cambiati questo deve rimanere il traguardo. Perché solo questo garantisce un adeguato ritorno a chi partecipa e al territorio. Però, nel 2021 bisogna ragionare in maniera nuova, più smart, più sostenibile. Forti della grande tradizione che si ha alle spalle, lo si può fare sfruttando tutte le possibilità offerte dalla modernità, a partire dalle nuove tecnologie. Nell’era digitale, di Amazon e del delivery non possono essere 60 chilometri a fare la differenza. Ma le idee. Le proposte. La capacità di innovare, anticipare, costruire e percorrere strade nuove: dall’intelligenza artificiale alle biotecnologie, dalla genomica alle energie rinnovabili, anche nel settore primario i sentieri della modernità sono infiniti.

Parafrasando il celebre detto, se non saranno gli operatori della zootecnia a venire a Cremona in futuro dovrà essere Cremona ad andare dagli operatori della zootecnia. Nel frattempo, la Fiera «classica» non sarà cancellata, ma si farà comunque, nei padiglioni di Ca’ de Somenzi, dal 2 al 4 dicembre. E resterà un appuntamento irrinunciabile per migliaia di operatori cremonesi e di tutta Italia, tanto che perfino Paolo Voltini – protagonista attivo del trasloco a Montichiari, come leader di Coldiretti – ha pubblicamente annunciato la partecipazione del Consorzio Agrario Provinciale di cui è presidente.

Da qui all’appuntamento di dicembre tocca a tutti gli attori coinvolti – CremonaFiere, la Camera di Commercio, gli enti locali, le forze politiche, le associazioni di categoria – mettere a punto nuove strategie, ideare nuovi format, stringere alleanze, trovare nuove forme di finanziamento (impresa non impossibile per chi ha idee brillanti, programmi ambiziosi e capacità di proporre nuovi contenuti). Solo così si potrà passare dallo stupore al rilancio, dallo sconcerto all’orgoglio, dal dispiacere al contrattacco.

Perché – al netto di tutto e non solo in campo fieristico – c’è un solo modo per rispondere alla concorrenza: fare meglio, cambiare paradigma, alzare l’asticella. E il grido di battaglia non può essere che conseguente: su la testa, Cremona! La forza economica, la tradizione e la creatività per farcela non ti mancano. Alla fine devi solo volerlo. Ma volerlo davvero.

MARCO BENCIVENGA

Direttore “La Provincia di Cremona”

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