La storia siamo noi. Ma ci interessa?

Celebrare gli anniversari è un esercizio prezioso: aiuta a ricordare fatti significativi, personalità importanti, eventi che hanno segnato la storia. Il 2021 che stiamo vivendo, per esempio, ci ha fatto riscoprire Dante Alighieri, l’autore della più grande opera letteraria di tutti i tempi: la Divina Commedia. Il sommo poeta fiorentino morì giusto 700 anni fa, il 14 settembre 1321. E in occasione di una ricorrenza così speciale, Covid permettendo, è stato tutto un fiorire di convegni, mostre, appuntamenti e pubblicazioni.

Grande attenzione è stata riservata anche ai duecento anni dalla morte di Napoleone e fra un paio di settimane ancor più ne sarà dedicata ai vent’anni dell’attentato alle Torri Gemelle (New York, 11 settembre 2001, tremila vittime e oltre seimila feriti).

Ma perché si presta così tanta attenzione a figure e avvenimenti del passato? Perché rileggere la storia dovrebbe aiutarci a ricordare gli esempi virtuosi e, soprattutto, a non ripetere gli errori commessi da chi ci ha preceduto. Non sempre succede, in realtà; spesso la memoria è corta e la lezione della storia non basta per impedirci di fare nuovi sbagli, ma proprio per questo gli anniversari ci aiutano a tenere vivo il ricordo di cosa ha funzionato e cosa no. Fra le tante possibili ricorrenze, una in particolare avrebbe meritato di essere celebrata questa settimana e invece è passata inosservata, forse perché non faceva cifra tonda (quella che di solito affascina di più: dieci anni, cento anni, mille anni…).

Giovedì è stato il duecentotrentaduesimo compleanno di un documento di fondamentale importanza per la convivenza civile: la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino, che fu approvata a Parigi il 26 agosto del 1789. Erano i giorni successivi alla presa della Bastiglia, momento clou della Rivoluzione Francese, e i saggi incaricati dall’Assemblea nazionale costituente elaborarono 17 articoli, il primo dei quali fu la premessa di tutti gli altri e di ogni democrazia moderna: «Gli uomini nascono e rimangono liberi e uguali nei diritti». Nascono e rimangono fu una precisazione decisiva, in tempi in cui la schiavitù era ancora diffusa in mezzo mondo e le libertà individuali tutt’altro che scontate. Al netto della disparità di genere (oggi i padri fondatori scriverebbero «gli uomini e le donne», e forse non sarebbe abbastanza) l’attualità di quelle parole scelte con tanta cura oltre due secoli fa è straordinaria, mentre i Tg di tutto il mondo diffondono le immagini di un intero popolo in fuga, pronto ad aggrapparsi al carrello di un aereo e a lasciarsi tutto alle spalle (ogni affetto, ogni bene, ogni proprietà) pur di scappare il più lontano possibile dal regime dei talebani, gli estremisti islamici tornati a comandare in Afghanistan. L’inferno di Kabul oggi è l’epicentro della sopraffazione, dell’abuso di potere, dell’inciviltà.

Ma nel mondo non mancano altre criticità, dal piccolo, grande caso di Patrick Zaki (lo studente dell’Università di Bologna accusato senza prove di essere una spia e da un anno e mezzo detenuto in attesa di processo nelle confortevoli carceri egiziane) alla persecuzione degli uiguri (i musulmani dello Xinjiang che dal 2004 il Governo cinese rinchiude in angosciosi «campi di rieducazione»). Altro che «gli uomini nascono e rimangono liberi»! In molte parti del mondo dittature palesi e nuove forme di schiavitù negano all’uomo (e soprattutto alle donne) i diritti fondamentali. Certo, sul moderno concerto di libertà si potrebbe discutere a lungo, se a intellettuali di altissimo livello come i No Vax basta chiedere di esibire il Green Pass all’ingresso di uno stadio o di un ristorante per sentirli straparlare di una fantomatica «dittatura sanitaria» (esistesse davvero, tale dittatura, un’assurdità del genere non potrebbero nemmeno pronunciarla…).

Come ricorda lo storico Paolo Corsini, la libertà può essere di due tipi: assenza di impedimento («libertà da», in negativo) o possibilità di agire («libertà di», in positivo). E da quel bivio «dipartono sentieri destinati ad attraversare la storia politica e della cultura: da un lato il pensiero liberale, che insiste sulla libertà negativa al fine di minimizzare le interferenze della società; dall’altro il pensiero democratico che, sulla scia di Rosseau, attribuisce valore alla volontà generale, alla partecipazione collettiva del corpo politico, nonché all’intervento pubblico».

Da qui un’ulteriore riflessione di Corsini: «Nella Dichiarazione del 26 agosto 1789 è fondamentale l’idea che i limiti all’esercizio dei diritti naturali individuali possono essere stabiliti solo dalla legge alla cui formazione tutti i cittadini possono concorrere». Formula complicata per dire che il governo appartiene al popolo, sia pur attraverso la democrazia rappresentativa. E per ricordare che chi vive in società deve rinunciare a un pezzo della propria libertà individuale per il bene superiore collettivo. È esattamente ciò che avviene nelle nazioni più evolute e moderne.

Dalla Rivoluzione Francese in poi, ricorda lo storico, «la democrazia diventa modello politico universale e fattore di legittimazione», perché quelle sono le regole del gioco. Peccato che, nella realtà – dall’Afghanistan all’Egitto, ma anche dalla Corea del Nord ad alcuni Paesi del Sudamerica – tale principio sia spesso disatteso, perché qualcuno se ne dimentica o finge di non ricordarlo. Anche e soprattutto per questo – per evitare ai furbi di prendere scorciatoie o di modificare le leggi a proprio esclusivo vantaggio – è così importante conoscere il passato. E celebrare gli anniversari.

MARCO BENCIVENGA 

Direttore “La Provincia di Cremona”

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