Editoriale

Le bugie elettorali hanno le gambe corte

Le certezze in politica elettorale non esistono. Invece, parole e promesse abbondano. Anche le previsioni (purché roboanti) hanno il loro spazio. E più sono strane più riempiono le pagine. Per esempio, a proposito di premier, c’è chi non ha dubbi. “Sarà Antonio Tajani – dicono, perché a Strasburgo è di casa e potrà difendere al meglio gli interessi italiani in Europa”. Però si sa che anche Giorgia Meloni e Matteo Salvini, alleati del Tajani, si sentono già i prescelti. Quanto alle certezze con cui condire l’insalata elettorale, basta allungare l’orecchio e se ne sentono di tutti i colori. “Via subito la Legge Fornero, flat tax al 23%, divieto di cambiare casacca per i parlamentari, tre ministri donna alla Difesa, agli Esteri e agli Interni… Poi, magari, pensioni minime almeno a mille euro, lavoro per i giovani, prezzi bassi e felicità assicurata…”.

Così oggi, a quattro anni e mezzo di distanza, fa impressione rileggere gli impegni assunti dai candidati alle elezioni Politiche del 2018. Nessuna delle previsioni si è avverata. Nessuna delle promesse è stata mantenuta.

In alcuni casi la macchina del tempo si rivela un autentico boomerang: «Mai al Governo con la Lega e con gli estremisti del M5S», garantiva Matteo Renzi, allora segretario nazionale del Pd. Oggi l’ex sindaco di Firenze ripete lo stesso ritornello. Ma fra un veto e l’altro il Partito Democratico ha condiviso le responsabilità di governo con entrambi i «nemici» e lui, Renzi, nel frattempo ha lasciato il Pd per fondare un suo partito (Italia Viva) e allearsi con Carlo Calenda, un altro fuoriuscito che si è messo in proprio.

Ancor più sorprendente la traiettoria politica di Luigi Di Maio: «Dopo la presentazione delle liste, è chiaro che il Pd continua a essere il partito del voto di scambio, del malaffare e della mala-politica. Il M5S, al contrario, è il simbolo dell’onestà e della competenza», disse nel gennaio 2018 durante un incontro con gli investitori della City a Londra. Ora che se ne è andato dal Movimento sbattendo la porta e ha fondato un nuovo partito (Impegno Civico) Di Maio si è alleato proprio con il Pd e sono i Fratelli d’Italia a parlare di «voto di scambio» in riferimento al Reddito di Cittadinanza che trasforma il Sud d’Italia in una riserva di consensi per quel che resta del M5S.

E Matteo Salvini? Nel marzo 2018 avanzava il sospetto che dopo le elezioni Forza Italia si sarebbe «sfilata» dal centrodestra per formare un Governo con il centrosinistra guidato da Renzi, da sempre sospettato di flirtare di nascosto con Silvio Berlusconi. La storia racconta un’altra verità: due mesi dopo le elezioni a sfilarsi dal centrodestra non sarebbe stata Forza Italia, ma la Lega, firmando con il M5S il «contratto di governo» destinato a durare fino al Papeete. A seguire: il Governo giallorosso (prima) e il Governo di unità nazionale (poi).

Morale? Durante la campagna elettorale mai dire mai (da parte dei politici) e mai credere alle promesse impossibili (da parte degli elettori): numeri, convenienze ed emergenze modificano di continuo assetti e alleanze, rimescolano più volte le carte e riscrivono i programmi a ogni cambio di stagione. In fondo, non c’è da stupirsi. Il sociologo polacco Zygmunt Bauman l’aveva già previsto alcuni anni fa: «La società moderna è liquida e nella società moderna il cambiamento è l’unica cosa permanente, l’incertezza l’unica certezza». Un po’ marzulliana, come prospettiva, ma molto vera. Nel bene e nel male. L’importante è esserne consapevoli: in politica nulla è per sempre. Tanto meno a due settimane dalle elezioni.

MARCO BENCIVENGA

Direttore “La Provincia di Cremona”

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