Ci mancava solo la nuvola di gas che aleggia sopra le nostre teste! Non c’è alcun pericolo per l’uomo, garantiscono gli esperti. Ma a medio termine potrebbero esserci conseguenze per l’ambiente, perché il metano è uno dei gas responsabili dell’effetto serra, del buco dell’ozono e dei cambiamenti climatici che minacciano il pianeta. E la quantità di metano fuoriuscita dal gasdotto Nord Stream, per quanto limitata rispetto all’immensità dell’atmosfera terrestre, è pari alle emissioni prodotte in un anno da una metropoli come Parigi. Però, 80 volte più nociva dell’anidride carbonica.
Il dato preoccupa, ma non allarma, se si prendono per buone le previsioni dei tecnici, secondo i quali le perdite del gasdotto sottomarino sono destinate a esaurirsi entro domani, perché i rubinetti sono stati chiusi a monte e in queste ore si stanno solo «svuotando i tubi».
Sia come sia, restano enormi dubbi su chi abbia sabotato il gasdotto che collega la Russia al Nord Europa (secondo l’Onu in quattro diverse esplosioni sottomarine sono stati utilizzati quasi 700 chili di Tnt) trasformando il mar Baltico in un enorme fabbrica di acqua minerale, con bolle tanto grandi quanto velenose.
A due anni dalla pandemia Covid-19, innescata dalla fuga di un virus che doveva restare nei laboratori, il rischio «aria avvelenata» si somma a tutte le altre minacce globali già esistenti: gli attacchi hacker contro le reti informatiche, i black out energetici, le possibili guerre batteriologiche…
E che dire dei rischi connessi al degrado delle centrali nucleari di prima generazione? La recente annessione di una porzione di Ucraina da parte della Russia attraverso un referendum farsa – con gli elettori scortati da militari armati fin dentro i seggi e costretti a inserire la scheda aperta in un’urna trasparente – ha consegnato nelle mani insanguinate di Vladimir Putin il controllo della centrale di Zaporizhzhia, la più grande d’Europa e fra le prime dieci al mondo. Per precauzione, i sei reattori sono stati spenti da tempo, ma il passaggio del comando della centrale dai tecnici ucraini agli invasori russi non tranquillizza. Basti dire che ieri il direttore degli impianti «uscente» è stato arrestato senza spiegazioni dagli sgherri di Putin.
La minaccia di un uso distorto del nucleare cresce in maniera esponenziale ora che – dichiarato il Donbass «territorio russo», da Kherson a Lugansk – nella logica del nuovo Zar la possibile controffensiva ucraina si trasformerebbe in un’«aggressione alla sovranità russa», tanto da giustificare il ricorso a «qualsiasi mezzo» (quindi anche alla bomba atomica) pur di impedirla. Quanto il ribaltamento della prospettiva sia folle lo dimostra un dato: Mosca ha già iniziato la consegna di nuovi documenti russi ai cittadini ucraini del Donbass. E insieme alle carte d’identità ha recapitato a tutti i maschi in età utile la cartolina di chiamata alle armi e il divieto di espatrio. Significa che da un giorno all’altro i giovani ucraini saranno costretti a passare da una parte all’altra della barricata e si ritroveranno a combattere i propri connazionali e fratelli. Un’assurdità che la comunità internazionale non può consentire, anche se – al momento – sembra in tutt’altre faccende affaccendata, a partire dal «si salvi chi può» in materia di approvvigionamento di materie prime, energia e gas.
Da questo punto di vista la scelta della Germania di fare da sé, opponendosi al «price cup» invocato da Italia e Francia, rischia di spaccare l’Europa proprio nel momento in cui l’Unione dovrebbe dimostrarsi più forte. Un grattacapo in più per la premier in pectore Giorgia Meloni, chiamata da un lato a garantire la posizione atlantista ed europeista dell’Italia e dall’altro a dare risposte urgenti a imprese e cittadini che rischiano di non reggere l’immane peso del caro bollette.
Non bastasse, la leader di Fratelli d’Italia che solo sette giorni fa ha trionfato alle elezioni Politiche deve fronteggiare le pressioni interne di un alleato avvelenato ed esigente come Matteo Salvini, pronto a minacciare l’«appoggio esterno» al Governo non ancora nato se non otterrà per sé il desiderato ministero dell’Interno (prospettiva tutt’altro che gradita al Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella). Non va meglio a Milano, dove lo scontro fra il presidente Attilio Fontana e la sua vice Letizia Moratti sta incendiando Palazzo Lombardia, minacciando l’unità del centrodestra a sei mesi dalle elezioni regionali.
Insomma, se nel Baltico si contano le bolle di metano e in Ucraina si affilano le armi, l’aria rischia di farsi irrespirabile anche in Italia. E pensare che solo lunedì si immaginava un lungo periodo di stabilità, ora che in Parlamento c’è una maggioranza chiara…
MARCO BENCIVENGA
Direttore “La Provincia di Cremona”