Editoriale

L’inutile arte del compromesso

Annunciato dalla solita diretta tv «quando già la sera era calata su uomini e cose», il Decreto legge di Natale è venuto a dirci come comportarsi da qui alla Befana. Come gli ultimi decreti che l’hanno preceduto, in realtà, anziché fissare poche e chiare regole, il nuovo «regolamento» spazia fino al punto di confondere milioni di italiani, scontentando tutti e non regalando certo felicità a chicchessia. Soprattutto, non offre alcuna certezza sul raggiungimento dell’obiettivo per cui è stato emanato: evitare la possibile terza ondata della pandemia da Coronavirus, che ora possiede addirittura una variante.

La storia degli ultimi dieci mesi ha dimostrato che non c’è niente di peggio per il Paese di una gestione schizofrenica e contraddittoria dell’emergenza, il continuo alternarsi di misure drastiche e aperture sconsiderate, divieti perentori e facili escamotage, sanzioni esagerate e complice tolleranza. Dopo gli affetti stabili e i cani-lasciapassare, ora è la volta degli amici «a due a due». Un via libera in apparenza limitato, in realtà quasi incondizionato, perché è chiaro che se autorizzi le visite a parenti e amici, seppur specificando «con un massimo di due persone», di fatto decreti il «tana libera tutti», perché a quel punto chiunque ha diritto a spostarsi. A meno che il Governo non immagini surreali telefonate preventive del tipo: «Mamma, per Natale vorrei venire a trovarti: ci sono già altri prenotati?». Oppure: «Se Paola e Franco vengono dalle due alle sei, io e Silvia possiamo venire dalle sei alle dieci? Ma allora Matteo e Lisa che fanno? Aspettano domani o ci assembriamo?».

Pretendere che gli italiani organizzino lo scambio degli auguri a turno è come aspettarsi che il giorno di Natale un vegano mangi l’arrosto di tacchino o un parcheggiatore abusivo paghi le tasse. Illusorio. Tanto valeva chiudere tutto, con un nuovo lockdown totale. Oppure dire: «Cittadini, essendo impossibile blindare ogni casa e ogni città in occasione delle feste di fine anno, ci appelliamo al vostro buon senso: evitate di affollarvi nei negozi o nelle tavole imbandite, perché ne va della vostra vita. Se dopo dieci mesi di pandemia, non lo avete ancora capito, il Covid è un virus pericoloso, che ha fatto quasi 70 mila morti in Italia e 1,7 milioni nel mondo. Sappiate, però, che se mantenete il giusto distanziamento, se indossate sempre la mascherina e se vi lavate spesso le mani, avete molte possibilità di salvarvi. Facciamo insieme l’ultimo sforzo, che il vaccino sta arrivando: ormai mancano solo pochi giorni, al massimo alcune settimane…». Questo avrebbe potuto dire il presidente del Consiglio: chiudiamo tutto. Oppure ci affidiamo al vostro senso di responsabilità. Invece no: con grande solennità, Giuseppe Conte ha annunciato il solito compromesso all’italiana. Un passo avanti e due indietro, una severità apparente (per mettersi a posto la coscienza?) e un totale permissivismo di fatto. Come quelli che, temendo di essere derubati dai ladri, blindano la porta di casa, ma poi lasciano la finestra aperta. Che senso hanno le zone rosse a giorni alterni? Quale studio epidemiologico dimostra che se oggi e domani vado al bar o al ristorante non mi infetto e, invece, se lo faccio il 24 o il 25 – pur rispettando le stesse regole di distanziamento – rischio il contagio ad ogni portata servita dal cameriere?

«Il compromesso è l’arte della leadership, ma i compromessi si fanno con gli avversari, non con gli amici», ammoniva il premio Nobel per la pace Nelson Mandela. In fondo il senso ultimo della questione è tutto qui: in Italia (ancor più in certe parti d’Italia) lo Stato è visto come un nemico, percepito come un oppressore, sopportato come lo spietato sceriffo di Nottingham che pretende il pagamento di tasse e gabelle sconsiderate, anziché essere considerato – come dovrebbe – la casa comune di un intero popolo, la camera di compensazione dei più diversi interessi, il gigante buono che garantisce i diritti di tutti, distribuisce equamente le risorse, difende i più deboli e neutralizza i prepotenti. Sarà pure una visione idilliaca del mondo, più vicina all’utopia che alla realtà, ma a questo bisogna tendere, tutti insieme, non a uno Stato di polizia che limita le libertà individuali perché, altrimenti, rischiano di diventare pericolose per la collettività. Settantasette anni di democrazia e — ancor prima — due millenni di civiltà ce lo avrebbero dovuto insegnare già da tempo, ma la realtà è differente. Ed è stata necessaria la pandemia Covid 19 per farci ripassare i principi fondamentali della convivenza civile, mettendoci improvvisamente di fronte ai limiti della globalizzazione e della società iperconnessa, che lega le sorti di ognuno a quelle dell’altro. Con la sua forza distruttiva e la sua capacità di superare ogni frontiera, il Coronavirus ci ha ricordato che nessuno si salva da solo, ma ci si salva o si affonda tutti insieme. Sempre e comunque. Una lezione che stiamo pagando a carissimo prezzo. Ma quantomai utile e opportuna.

MARCO BENCIVENGA

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