Editoriale

Nel limbo di Giorgia servono… attributi

Dal 25 settembre (ma sarebbe meglio dire dal 21 luglio, quando è caduto il Governo) l’Italia vive nel limbo, sospesa fra il passato che si è messa alle spalle e il futuro che verrà. A Palazzo Chigi disbriga l’ordinaria amministrazione un premier dimissionario, abbandonato in Parlamento dalla maggioranza che lo sosteneva e poi bocciato nel segreto dell’urna da milioni di italiani, compresi quelli che lo osannavano come unico, possibile salvatore della patria. C’è ancora, Mario Draghi, ma non può più prendere decisioni importanti, nonostante fuori dal palazzo stia succedendo di tutto, dalla guerra in Ucraina che rischia di degenerare in conflitto atomico al caro energia che minaccia la sopravvivenza di imprese e famiglie. Non va meglio alla vincitrice delle elezioni, Giorgia Meloni, destinata a passare in un solo colpo dai banchi dell’opposizione alle ambitissime (ma molto più scomode) poltrone di governo. Nessuno dubita che la prossima presidente del Consiglio sarà lei, la «sorella d’Italia», come logico e conseguente rispetto al verdetto delle urne.

Al momento, però, la Meloni è solo una premier virtuale, in pectore ma non operativa, costretta a rispettare i tempi e le prassi parlamentari, (libera anche di mandare al congresso della destra estrema spagnola, quella del No Vox, un messaggio in cui riassume la sua fede nella destra e inneggia al concetto di nazioni patriottiche/ndr). Riassumendo: nonostante le emergenze in corso, da un lato c’è un presidente del Consiglio uscente senza sostegno politico e senza poteri e dall’altro una presidente del Consiglio entrante, forte di una grande investitura popolare, ma impossibilitata a passare dalle promesse all’azione, onorando gli impegni assunti in campagna elettorale.

Tutto normale? Sì. Per quanto possa sembrare strano, questo prevedono le regole della democrazia rappresentativa: i risultati delle elezioni vanno convalidati (un esempio? solo sabato, a tredici giorni delle elezioni, sono stati assegnati dieci seggi al M5S che al Sud ha ottenuto più eletti di quanti candidati aveva messo in lista, tanto da rendere necessario il ripescaggio dei propri rappresentanti sconfitti nei collegi di altre regioni) e dopo la convalida dei risultati serve altro tempo per insediare la Camera e il Senato (stavolta un’operazione più complicata del solito, complice la riduzione di un terzo dei posti a sedere, con grande lavoro per falegnami e arredatori di Montecitorio e Palazzo Madama).

Poco male, si dirà: questa lunga attesa permetterà a Giorgia Meloni di formare il miglior Governo possibile, mettendo i ministri giusti al posto giusto, come auspicano tutti gli elettori che le hanno dato fiducia. Il problema è che il tempo è un’arma a doppio taglio: fino a un certo punto è il miglior consigliere, poi diventa un fattore di rischio, logorando chi resta troppo a lungo a bagnomaria. Un po’ quel che succede agli astronauti in attesa di partire per lo spazio, bardati di tutto punto, ma spesso costretti a scendere dalla rampa di lancio e ripetere dopo qualche giorno tutte le procedure a causa di inconvenienti tecnici dell’ultimo minuto.

Per fortuna Giorgia Meloni è una donna («donna e madre», rivendicherebbe lei) e come tale è geneticamente preparata alle lunghe attese. Nulla è impossibile a chi sa prepararsi nel modo migliore ai grandi appuntamenti con la storia e l’ennesima conferma è arrivata proprio da un’astronauta, Samantha Cristoforetti, dal 28 settembre prima donna europea a comandare la Stazione Spaziale Internazionale, un incarico di prestigio assoluto. Mutatis mutandis, domenica scorsa ha scritto una piccola pagina di storia anche Maria Sole Ferreri Caputi, prima donna a dirigere una partita di calcio in Serie A.

Presto arriverà il momento di Giorgia. Che nell’attesa ha ammesso una certa ansia da prestazione («non dormo la notte») ma è abituata a nuotare controcorrente e non ha specificato se a toglierle il sonno sono i problemi del Paese o le pressioni degli alleati, in lotta per accaparrarsi i ministeri migliori. Per quanto l’agenda delle urgenze sia fitta, la risposta giusta è la seconda. Non a caso la Meloni, stufa di sentirsi tirare per la gonnella (che peraltro non usa) in settimana ha lasciato trapelare un messaggio forte e chiaro: se la quadra sui ministri non si trova, è pronta a presentarsi in Parlamento con una lista tutta sua, con ministri di fiducia e di alto profilo, e poi «chi la vota, la vota». Fosse un uomo, si direbbe che ha mostrato gli attributi. Considerando che è una donna, bisogna prenderla sul serio. E attrezzarsi, inventando nuove metafore, più eleganti e rispettose della parità di genere.

MARCO BENCIVENGA

Direttore “La Provincia di Cremona”

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