Editoriale

Per non fallire in un battibaleno…

La stella polare ha una funzione preziosa: indica un punto preciso nel cielo (in genere il Nord, ma vale anche per il Sud) e lo trasforma in una bussola per chi viaggia. La sfruttano gli esploratori nel deserto, i camionisti senza Tom-Tom e i marinai costretti a navigare in spazi indistinti. Per terra o per mare, la stella polare traccia la rotta, esattamente come la stella cometa indicò ai biblici Re Magi la via per arrivare alla Capanna. E in politica? In politica le stelle polari sono i princìpi e i valori in cui ogni partito si riconosce, ma sono anche i leader che ne scrivono o ne hanno scritto la storia, chi in direzione del progresso, chi della pace, chi della ricchezza, chi dell’equità sociale o della libertà. Come avviene nella vita, in politica ognuno ha un punto di riferimento, un modello, una fonte di ispirazione. Curiosamente, esistono anche i modelli negativi, le stelle polari che – anziché indicare la rotta da seguire – suggeriscono la strada da evitare.

L’esempio più recente si chiama Liz Truss. Non una tiranna, una despota o una liberticida: semplicemente, una premier inadeguata. Nominata primo ministro inglese lo scorso 6 settembre, è stata costretta in fretta a dimettersi, travolta da una serie di errori, svarioni e assurde capriole. Le sue mosse incaute hanno rischiato di far fallire i fondi pensione britannici, l’hanno costretta a cancellare l’insostenibile piano di riduzione delle tasse che le aveva aperto le porte di Downing Street e le sono costati l’appoggio dei conservatori che solo 45 giorni prima le avevano chiesto di raccogliere l’eredità di Boris Johnson, altro campione di giravolte, bugie e improvvisazione. Che la premiership di Liz Truss fosse nata sotto una cattiva stella si era capito subito: se diventi il quindicesimo primo ministro in 70 anni di regno di Elisabetta II e dopo soli due giorni la “regina eterna” muore, è chiaro che il destino non è dalla tua parte. Ma il presagio negativo non è bastato a mettere in guardia l’ex segretaria di Stato inglese dai rischi di un incarico tanto ambito quanto complesso, complicato, difficile da gestire. Risultato finale: la Truss sarà ricordata come la premier lampo, il primo ministro durato meno nell’intera storia del Regno Unito.

Giorgia Meloni è destinata a fare la stessa fine? Il dubbio è legittimo, la domanda istintiva. Ma la risposta, per chi è intellettualmente onesto, non può che essere negativa. Al massimo, le opposizioni possono gufare, confidando nel contesto internazionale sfavorevole o nel “fuoco amico” di Silvio Berlusconi e di Matteo Salvini, due alleati non sempre lineari e fedeli. Probabilmente, però, chi ipotizza che “il Governo Meloni non durerà più di sei settimane” (lo ha detto Carlo Calenda) sottovaluta due fattori: il primo è il cordone di sicurezza che negli ultimi giorni è stato creato attorno all’instabile leader di Forza Italia, per impedirgli di far danni ogni volta che parla (in pubblico o in privato non fa differenza, perché – se necessario – qualcuno pronto a registrarlo di nascosto e passare l’audio ai giornali si trova sempre); il secondo fattore è la svolta responsabile compiuta dal leader della Lega dopo l’ultima sconfitta elettorale (atteggiamento costruttivo, neppure una parola fuori luogo e un ministero di peso assegnato a Giancarlo Giorgetti, il rivale interno che rischiava di scippargli il partito).

Se gli alleati Berlusconi e Salvini non le metteranno il bastone fra le ruote, Giorgia Meloni non solo durerà molto più della Truss, ma grazie a una schiacciante maggioranza in Parlamento potrà godersi una navigazione tranquilla, nonostante le criticità e le emergenze del momento: la guerra in Ucraina, il caro bollette, l’inflazione che galoppa, il sistema pensioni a rischio, il fisco e la giustizia da riformare… Pesato tutto, alle fine le “prime ministre” che si contendono la scena della settimana hanno solo due fattori in comune: l’essere donna (una tradizione per il Regno Unito, un inedito per l’Italia) e la giovane età (47 anni la londinese, 45 la romana). A favore della neo Presidente del Consiglio italiana giocano idee molto più chiare, rispetto alla confusa leader inglese, e il percorso compiuto per arrivare nella stanza dei bottoni. Se Liz Truss è salita su un treno in corsa dopo il suicidio politico del suo “capo”, Giorgia Meloni è arrivata a Palazzo Chigi un passo alla volta, senza favoritismi né scorciatoie: è partita dal basso, si è conquistata uno spazio di rilievo con le sue sole forze e ha ottenuto la leadership del centrodestra quasi a furor di popolo, vincendo le elezioni.

E l’ampio consenso di cui godrà in Parlamento sarà un vantaggio decisivo non solo in confronto all’incauta collega inglese, ma anche rispetto agli ultimi predecessori: Mario Draghi era un gigante, ma doveva fare i conti con una maggioranza spuria e guidare un governo di emergenza nazionale; Giuseppe Conte prima si era dovuto inventare un contratto di Governo (con la Lega) e poi un matrimonio di convenienza (con il Pd); Paolo Gentiloni aveva ereditato una maggioranza sconfitta in un referendum di portata costituzionale e aveva come unico obiettivo portare il Parlamento alla fine della legislatura; Matteo Renzi era arrivato a Palazzo Chigi sgambettando Enrico Letta e non poteva contare né su una solenne investitura popolare né su un sufficiente sostegno parlamentare.

Ora lo scenario è completamente cambiato. A Giorgia Meloni per non andare a sbattere basterà evitare i clamorosi errori commessi da Liz Truss nei suoi 45 giorni di waterloo istituzionale: non fare promesse impossibili, non contraddirsi un giorno con l’altro, non giocare con il Paese. E se nei momenti più difficili dovesse aver bisogno di una bussola, potrà sempre contare sulla sua stella polare: immaginare quale scelta avrebbe fatto la Truss e… fare esattamente il contrario!

MARCO BENCIVENGA

Direttore “La Provincia di Cremona”

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