Il dibattito sul Super Green Pass. L’ormai imminente riapertura delle scuole. La promozione di un G20 sull’emergenza Afghanistan. I test di accesso alle Facoltà di Medicina da annullare perché sbagliati. Il lancio di Ita, la nuova Alitalia, e il contenzioso con l’Ue per gli aiuti miliardari concessi alla vecchia compagnia di bandiera costata tanto cara ai contribuenti negli ultimi cinquant’anni che forse si sarebbe speso di meno a regalare un jet personale a ogni singolo cittadino italiano. Ancora: la riorganizzazione del Comitato che dovrà togliere il segreto di Stato dagli atti su Gladio, la Loggia P2 e le grandi stragi del Novecento (Ustica, piazza Fontana, piazza Loggia, la stazione di Bologna)…
A Presidenza del Consiglio, Governo e Parlamento non è mancato il lavoro in queste prime due settimane di settembre: l’agenda è stata fitta a ogni livello, moltissime sono le partite aperte e ancor più importanti sono i problemi di cui occuparsi. Ciò nonostante, i leader dei diversi partiti – più che sulle urgenze del Paese – in questi giorni sembrano concentrati sulle elezioni Amministrative in programma i prossimi 3 e 4 ottobre.
Tanta fibrillazione è comprensibile a meno di un mese dall’appuntamento elettorale che metterà alla prova nuove e vecchie leadership: Conte alla guida del M5S, Letta tornato segretario del Pd e candidato alle suppletive per un singolo seggio alla Camera in Toscana, Salvini e la Meloni che si contendono il primato nel centrodestra, ufficialmente alleati, in realtà l’un contro l’altra armati.
Non bastasse, la prossima tornata elettorale metterà in palio la presidenza in due Regioni e una Provincia a statuto speciale e assegnerà la fascia di sindaco in cinque grandi città (Roma, Milano, Napoli, Torino e Bologna), e in altri mille Comuni minori. Ce n’è abbastanza per parlare di un appuntamento decisivo, che chiamerà alle urne 12 milioni di elettori, in media un italiano su cinque. Il problema non è votare, ovviamente: il problema è che in Italia si vota sempre e la campagna elettorale permanente impedisce a qualsiasi governo politiche di ampio respiro, tanto meno a medio o a lungo termine.
Un così frequente ricorso alle urne e una malintesa lotta alla casta finiscono inoltre per produrre due gravi effetti collaterali: da un lato la fuga degli elettori dalle urne, con percentuali di partecipazione al voto sempre più basse (è un problema, comunque la si pensi e la si voglia guardare); dall’altro la fuga dall’impegno in prima persona, come testimonia la crescente difficoltà delle forze politiche nel trovare profili di alto livello disposti a mettersi in gioco e a guidare le comunità in cui vivono.
Vale nelle grandi città così come nei piccoli Comuni, dove sempre più spesso si conta un solo candidato alla fascia di sindaco, un tempo ambita, oggi schivata dai più perché il ruolo è sottopagato e non abbastanza riconosciuto sia in proporzione all’impegno richiesto sia al carico di responsabilità che comporta.
I due fattori – fuga degli elettori e fuga dei candidati – sono egualmente preoccupanti in un momento in cui i problemi richiedono sempre più soluzioni collettive (lo ha dimostrato la pandemia, ma vale in ogni campo, se non si vogliono alimentare gli estremismi e le tensioni di piazza) e – più che mai – c’è bisogno di una classe politica all’altezza, in grado di affrontare con la giusta preparazione e la necessaria competenza sfide sempre più delicate e complesse.
La riforma del mercato del lavoro e delle pensioni, la revisione del reddito di cittadinanza, la ripresa dell’economia post pandemia (ora che è tornata a salire la domanda, manca la materia prima, da metalli pesanti ai microchip…), la riforma del fisco e l’eterna riforma della giustizia sono solo alcune delle emergenze da affrontare a breve perché l’Italia possa tornare a guardare con fiducia al futuro (e non perdere i fondi europei del Recovery Plan). Morire di noia sarebbe peggio, ma con tanta carne al fuoco serviranno davvero buoni cuochi e tanto impegno per non bruciarla.
MARCO BENCIVENGA
Direttore “La Provincia di Cremona”