Editoriale

Poche parole, tanta sostanza…

Una dichiarazione di soli due minuti dopo aver accettato l’incarico, otto giorni di silenzio assoluto durante le trattative, meno di quattro minuti per annunciare nomi e volti del nuovo Governo, una dichiarazione lampo durante il primo Consiglio dei ministri: in poco più di una settimana Mario Draghi ha cambiato il mondo. Non solo è riuscito nell’impresa impossibile di formare un Governo mettendo insieme i nemici di sempre – Forza Italia e M5S, Lega e Partito Democratico, Leu e Italia Viva, tutti insieme appassionatamente – ma in sole quattro mosse ha cambiato tempi e modi della comunicazione politica: basta conferenze stampa fiume (alla Conte), basta tweet compulsivi (alla Trump), basta video autocelebrativi (alla Salvini), basta riunioni in diretta streaming (alla Crimi prima maniera), basta inutili giri di parole (qui è impossibile citare un solo esempio: ne servirebbero troppi). Il nuovo corso è all’insegna della sobrietà.

Ora bisogna vedere se SuperMario riuscirà a mantenere lo stesso stile anche nei prossimi appuntamenti, dal discorso ufficiale di insediamento (mercoledì al Senato, giovedì alla Camera) ai primi provvedimenti da Presidente del Consiglio (Draghi firmerà Dpcm lunghi 289 pagine come il predecessore o riuscirà a illustrare norme e divieti con poche e semplici parole?). Soprattutto: l’Uomo della Provvidenza riuscirà a imporre il nuovo corso anche ai suoi ministri o permetterà che ognuno dica la sua per distinguersi in una squadra tanto atipica ed eterogenea? 

Nei matrimoni, si sa, a fare la differenza non è la luna di miele, ma la quotidianità. Ecco allora che la tenuta del nuovo Governo «che non si identifichi in alcuna formula politica» – come l’ha voluto il presidente Mattarella – non si misurerà con le belle intenzioni pronunciate ieri dai neoministri durante la cerimonia del giuramento, ma sarà messa alla prova giorno dopo giorno, scelta per scelta, provvedimento per provvedimento. Venuto meno il pericolo del «tutti a casa», finito il tempo della responsabilità e terminata la corsa a salire sul carro del vincitore (uniche ostinate eccezioni: la Meloni e Di Battista) continuerà a contare «il bene del Paese» o riprenderanno le liti, i distinguo e i veti incrociati?

Alla prima, vera riunione del Consiglio dei ministri – dopo le sorridenti foto ricordo di ieri – ex nemici come Brunetta e Patuanelli, Orlando e la Gelmini, o Giorgetti e Speranza, andranno d’amore e d’accordo o cercheranno di farsi lo sgambetto a vicenda? Il carisma di Draghi è tale che almeno per un po’ nessuno dovrebbe provare a fare il furbo. Il problema è capire se i leader di partito che sono strategicamente rimasti fuori dal Governo (Salvini, Zingaretti, Grillo, Renzi, Berlusconi…) lo sosteranno lealmente o un po’ alla volta cercheranno di minarne le fondamenta dall’esterno, con il solito giochetto del doppio binario: tutti per uno al tavolo del Governo, ognuno per sé davanti alla prima telecamera disponibile.

Il rischio c’è, perché la pandemia è un bello scudo che giustifica tutto e i miliardi del Ricovery Plan sono una torta troppo gustosa da spartire perché qualcuno rinunci ad accaparrarsene una fetta, ma prima o poi i nodi verranno al pettine: sulla «transizione ecologica» e sull’attenzione alla scuola è relativamente facile essere tutti d’accordo. Più complicato sarà trovare un punto d’intesa sui temi che contano davvero: blocco dei licenziamenti, pensioni, fisco, reddito di cittadinanza, giustizia, Mes, infrastrutture, immigrazione… Nel merito qualcosa si inizierà a capire la prossima settimana, quando Draghi presenterà il suo programma in Parlamento e poi andrà alla conta: il voto di fiducia è scontato, addirittura promette di stabilire un nuovo record, ma le dichiarazioni di voto sveleranno quali paletti porrà ogni forza politica e quanta sincerità c’è nel suo sostegno al Governo Arlecchino (o «dei migliori», come l’ha definito Berlusconi).

Se ne potrebbero sentire delle belle. E solo allora si capirà se la rivoluzione silenziosa di Draghi è davvero un nuovo paradigma o solo una mossa della disperazione. Per ora l’unica certezza è che dal vocabolario della politica italiana sono scomparse due parole che sembravano scolpite nella pietra: mai e impossibile. D’ora in poi nessuno potrà più dire «mai con questo o con quello» o «noi e loro insieme? impossibile». Se i due vocaboli siano stati cancellati per sempre o solo temporaneamente si scoprirà in fretta. E farà la differenza.

MARCO BENCIVENGA

Direttore del quotidiano “La Provincia di Cremona”

Altri articoli
Editoriale

Potrebbero interessarti anche