Putin querela, ma si morde la coda…

Fra i mille tragici aspetti della guerra in Ucraina (le vittime innocenti, le città rase al suolo, le gravissime ricadute sull’economia di mezzo mondo), spicca una storia piccola, quasi irrilevante, ma dal grande significato simbolico: è la querela per diffamazione che l’ambasciatore russo in Italia, Sergey Razov, ha sporto contro il quotidiano La Stampa. Oggetto del contendere l’articolo dell’inviato di guerra Domenico Quirico intitolato “se uccidere il tiranno è l’unica via d’uscita”.

Il dubbio è che l’ambasciatore russo abbia letto solo il titolo, anziché l’intero articolo, che definiva “priva di senso e immorale” l’idea che l’unico modo di risolvere il problema dell’invasione dell’Ucraina fosse l’uccisione di Putin da parte dei suoi connazionali. Razov ha capito il contrario e ha accusato La Stampa di istigazione a delinquere!

In realtà, Quirico si era chiesto: “Siamo certi che l’eliminazione violenta del tiranno non inneschi un caos peggiore?”. E la risposta era inequivocabile: no, perché “quasi mai nella storia il risultato è stato conforme ai desideri di chi pensava di risolvere tutto al prezzo di una sola vita”.

Il precedente più famoso? “Nel 1914 il serbo Gavrilo Princip pensava che ammazzando l’erede al trono austriaco i problemi dei Balcani sarebbero stati risolti. Invece eliminò l’unico personaggio che probabilmente avrebbe impedito che l’Europa precipitasse nella tragedia della Prima Guerra mondiale”, ha ricordato Quirico.

Oltre a contribuire a intasare i tribunali italiani di cause inutili, il fraintendimento che ha portato l’ambasciatore a querelare il giornalista la dice lunga sul difficile rapporto fra le autorità russe e la libera stampa.

Senza scomodare il tragico caso di Anna Politoskaia – la giornalista che aveva denunciato l’orrore della guerra in Cecenia e il 7 ottobre 2006 fu trovata morta nell’ascensore della sua casa di Mosca, uccisa da quattro colpi di pistola – l’ultimo esempio di disinformazione riguarda la tv di Stato russa che nei giorni scorsi, in un servizio da Mariupol, ha trasmesso le immagini della città devastata dalle bombe attribuendone però la responsabilità ai nazionalisti ucraini anziché ai carri armati di Putin.

Un’alterazione della realtà che spostava la responsabilità del disastro dagli invasori agli invasi, ribaltando completamente la prospettiva e la narrazione dei fatti. Lo stupore forse è fuori luogo perché, da che il mondo è mondo la propaganda è sempre stata uno strumento di guerra: il bello è che oggi – al tempo dei telefonini e dei social network – molte fake news vengono smentite in tempo reale. E diventano un boomerang per chi le propaga.

Anche per questo Putin da tempo ha programmato l’uscita della Russia da Internet, la Rete globale che connette il mondo. Il progetto si chiama RuNet e non si limita a bandire il web dall’intera steppa russa, ma punta a creare un’IntraNet sotto il suo totale controllo (ovvero una rete chiusa, come quelle utilizzate dalle grandi aziende per le proprie comunicazioni interne) e canali social nazionali sul modello della WeChat cinese. L’obiettivo è evidente: assumere il controllo totale della comunicazione, isolando il popolo russo dal resto del mondo. Letteralmente: disconnettere l’intera Russia dal web, staccando la spina.

Del resto, che la comunicazione sia in grado di condizionare la percezione della realtà da parte dell’opinione pubblica si sa da sempre. L’esempio eclatante è rappresentato dalla più grave pandemia della storia, non il Covid-19, ma il virus che fra il 1918 e il 1920 provocò 50 milioni di morti (qualcuno dice addirittura cento) in varie zone dell’Europa e del mondo. Secondo alcuni esperti, il primo focolaio si sviluppò negli Stati Uniti, secondo altri in Cina. Perché allora quella terribile epidemia è passata alla storia come la Spagnola? Per il semplice motivo che la Spagna all’epoca non era coinvolta nella Prima guerra mondiale e i giornali spagnoli erano gli unici non soggetti a censura, mentre nei paesi coinvolti dal conflitto la notizia della diffusione della malattia fra i soldati in trincea fu volutamente tenuta nascosta. Fosse stata scritta la verità fin dall’inizio, probabilmente sarebbero state adottate contromisure più adeguate e si sarebbero salvate molte vite. Un po’ come è successo nel 2019, quando la Cina ha oscurato per troppo tempo ciò che stava provocando il Coronavirus a Wuhan. Come sia andata a finire, è noto a tutti.

MARCO BENCIVENGA

Direttore “La Provincia di Cremona”

Altri articoli
Editoriale

Potrebbero interessarti anche

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Compila questo campo
Compila questo campo
Inserisci un indirizzo email valido.
Devi accettare i termini per procedere