Abbassare la temperatura dei caloriferi di due gradi e spegnere gli impianti di riscaldamento per almeno due ore al giorno. A sei mesi e mezzo dall’invasione russa in Ucraina, il Governo italiano ha partorito due mosse geniali per far fronte all’impennata del prezzo del gas. Il senso del piano è evidente: per non restare a secco, il prossimo inverno basterà rinunciare a un po’ di tepore. Niente di drammatico, per carità. Scaldare meno per scaldare tutti è più di uno slogan: si può fare. Per certi versi sarà addirittura salutare: secondo eminenti studiosi, dormire al fresco migliora la qualità del sonno, tanto che al risveglio ci si sente “più tonici e riposati”. La spiegazione è scientifica: “Una temperatura ambientale bassa diminuisce la produzione di cortisolo, l’ormone associato allo stress, all’ansia e alla depressione”. In realtà, secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) la maggior speranza di vita alla nascita si registra in Giappone, Svizzera, Sud Corea, Singapore, Spagna, Cipro, Australia e Italia, che non sono esattamente i Paesi più freschi del mondo. Però, nelle prime posizioni ci sono anche Norvegia, Svezia, Islanda e Canada, le nazioni del grande Nord in gran parte ricoperte dai ghiacci. La temperatura evidentemente è “un” fattore, non “il” fattore che fa la differenza. Contano anche ricchezza, disponibilità di materie prime, diritti civili, organizzazione sanitaria…. Difatti l’aspettativa di vita più bassa si ha nei Paesi più caldi (e più poveri!) del pianeta: Lesotho, Repubblica Centrafricana, Somalia, Mozambico.
Sia come sia, prepariamoci a un inverno più rigido del solito, a recuperare dal fondo dell’armadio la maglietta della salute e ad aggiungere una coperta sopra il piumone. Ne va del nostro conto in banca e… della sicurezza nazionale. Oltre il tema dei controlli (ve li immaginate i carabinieri costretti a passare casa per casa, termometro alla mano?), problema vero, in realtà, non è chiedere un sacrificio al popolo (se ogni cittadino risparmia un metro cubo di gas al giorno, tutti insieme ne risparmieremo 60 milioni ogni 24 ore, quasi due miliardi al mese): il problema vero è non togliere il gas a chi non può proprio farne a meno. All’industria chimica e all’industria alimentare, per esempio. Oppure alle cartiere, alle acciaierie, alle vetrerie, ai produttori di ceramica (non si pensi solo ai piatti e ai vasi ornamentali, cui si può tranquillamente rinunciare: la ceramica è un componente indispensabile per il funzionamento di molti apparati tecnologici). La lista delle possibili vittime della carenza di gas è lunga, dalla grande industria al fornaio sotto casa, senza dimenticare i mezzi di trasporto pubblici e privati che hanno scelto il gas come alternativa verde a benzina e gasolio e potrebbero essere costretti a restare in garage. In un modo o nell’altro, insomma, tutti siamo interessati alla partita, anche perché con le regole attuali il prezzo del gas non è una variabile indipendente, ma è anche il valore che determina il prezzo dell’energia elettrica. Per chi non lo sapesse, in questo momento non c’è carenza di energia elettrica sul mercato mondiale: le bollette non schizzano alle stelle per mancanza di materia prima, ma solo ed esclusivamente perché il prezzo della corrente è legato a quello del gas. E se il conflitto fra Russia e Ucraina (meglio: la risposta di Vladimir Putin alle sanzioni decise da Europa e Stati Uniti) fa schizzare in alto il prezzo dell’energia che ci scalda, automaticamente s’impenna anche il prezzo della corrente.
Al netto delle speculazioni, spezzare questa catena, cancellare questo automatismo, sarebbe la prima, vera soluzione per uscire dal vicolo cieco in cui ci siamo infilati. Purtroppo, non esiste un’autorità in grado di farlo: i mercati sono internazionali (con epicentro in Olanda, dove si fregano le mani perché da quando è iniziata la guerra stanno facendo affari d’oro) e in questa fase convulsa dell’economia ognuno pensa per sé, prova a salvare se stesso. Vedi l’Ungheria che, pur facendo parte dell’Unione Europea, ha firmato con la Russia un nuovo contratto di fornitura del gas prodotto nella steppa, così da assicurarsi un inverno al caldo. Un doppiogiochismo inaccettabile che rischia di minare alle fondamenta la coesione dell’Unione Europea e che dovrà essere messo al centro di ogni discussione appena le condizioni internazionali lo permetteranno. In questo campo i sovranisti hanno ragione, l’Ue non può essere un’alleanza “a la carte”, da sfruttare solo quando fa comodo: tutti europeisti quando ci sono fondi miliardari da spartire, ognuno per sé quando è più vantaggioso andare da soli (dall’immigrazione al fisco gli esempi potrebbe essere infiniti, valga per tutti il caso del più grande produttore italiano di automobili che, di fusione in fusione, ha finito per fissare la propria sede legale ad Amsterdam, dove paga meno tasse che in Italia).
A tre settimane dalle elezioni Politiche, la sensazione è che non se ne parli abbastanza: tirano di più gli annunci roboanti e le promesse impossibili. Al termine di un’estate infuocata, con fiumi e laghi in secca e i ghiacciai in frantumi, si può solo sperare che il prossimo inverno non sia altrettanto estremo. Se facesse troppo freddo, con simili premesse recuperare la maglia della salute e aggiungere una coperta di lana potrebbe non bastare.
MARCO BENCIVENGA
Direttore “La Provincia di Cremona”