Editoriale

Se il futuro comincia dal presente…

Non suonasse blasfemo, potremmo dire che l’anno appena lasciato alle spalle ha pure cambiato il calendario. Infatti, se fino a dodici mesi fa A. C. e D. C. significavano “soltanto” Avanti Cristo e Dopo Cristo, ora si potrebbero contare anche gli anni Ante Covid e Dopo il Covid, perché l’esplosione della pandemia da Coronavirus ha modificato per sempre usi, costumi e abitudini dell’intera umanità come nessun altro fattore era mai riuscito a fare dalla notte dei tempi. A partire dal Giorno Zero del 2020 – esattamente un anno fa ieri – tutto è mutato sul pianeta Terra. Perfino la nostra identità e il nostro modo di relazionarci agli altri: eravamo abituati a guardarci in faccia e a stringerci la mano; ora invece stentiamo a riconoscerci da dietro la mascherina e ci salutiamo con il gomito. A distanza.

Ma i cambiamenti vanno ben oltre la nostra immagine e il galateo: a ogni latitudine interi comparti economici sono stati azzerati (si pensi ai viaggi, agli spettacoli, al turismo, allo sport, a ogni attività che prevedeva una partecipazione di massa), 110 milioni di persone sono state contagiate, quasi due milioni e mezzo sono morte. Ed è mutata la gerarchia dei Paesi «fortunati»: al primo posto della classifica ora non figurano i più grandi e i più ricchi (Stati Uniti, India, Brasile, Regno Unito, Francia, Spagna, Italia, Turchia, Germania e Colombia, i dieci più colpiti dal virus, nell’ordine), ma – al netto di qualche probabile omissione sui dati reali da parte di Cina e Corea – ora spiccano quelli che hanno limitato i danni, favoriti dal clima e dall’isolamento (il Canada, l’Australia, alcune regioni africane e una miriade di isole sperdute nei mari più lontani). 

In tutto, secondo i dati del Johns Hopkins Institute, il virus ha contagiato 192 Paesi su 193 ufficialmente riconosciuti dall’Onu a livello globale. E dopo la città cinese di Wuhan, culla del virus, per un po’ proprio la provincia di Cremona – insieme a quelle di Lodi, Bergamo e Brescia – è stata l’epicentro mondiale della pandemia. Una vera ragione perché ciò sia successo non è stata ancora scoperta: di sicuro hanno influito l’iniziale sottovalutazione del rischio dopo l’allarme cinese, tanta impreparazione del sistema sanitario e delle autorità preposte, un’età media della popolazione molto elevata e un dinamismo socio-economico che ha finito per diventare un boomerang. Ma niente spiega fino in fondo l’accanimento del virus proprio contro la nostra comunità e le province più vicine.

Il rovescio della medaglia racconta che proprio qui, i medici hanno imparato a gestire gli effetti della pandemia, a isolare i «positivi» e a curare i malati più gravi, tanto da fare scuola nel mondo. Il prezzo da pagare è stato altissimo e nessuno dovrà mai dimenticarlo, anche se non è ancora il tempo dei bilanci e dei monumenti, perché il virus pandemico è ancora qui, fra noi. Alla faccia dei negazionisti che ancora blaterano di inutile allarmismo e gridano al complotto.

A un anno di distanza il virus è mutato, si è moltiplicato in numerose varianti. Come ha spiegato il super esperto di emergenze Guido Bertolaso, da nemico invisibile il virus si è trasformato in un guerrigliero, «che appare e scompare, cambia aspetto, sembra sconfitto e poi invece ti colpisce alle spalle». Un anno dopo il Giorno Zero tutte le speranze sono affidate al vaccino, oltre che all’aumentata capacità di cura delle strutture sanitarie: grazie alla diffusione di massa dei test, oggi si può scoprire di essere positivi, ma restando tranquilli, senza il terrore di finire intubati in terapia intensiva. O di morire da soli, lontano da tutto e da tutti. È un passo avanti, ma non basta.

Distanziamento, uso della mascherina e lavaggio frequente delle mani restano le prime forme di autodifesa dal virus, insieme alla rinuncia a un po’ della nostra libertà individuale e collettiva. In attesa di ritrovare un po’ della normalità perduta – anche se niente sarà più come prima – possiamo rallegrarci per la nascita del Governo presieduto da Mario Draghi, l’esecutivo di emergenza carico di speranze, di consenso e – contemporaneamente – di una responsabilità senza precedenti.

In ogni caso, sarà il caso di ricordare che qualsiasi buon futuro non piove dall’alto. Deve invece essere costruito giorno dopo giorno, prima da noi e poi dagli altri.

Marco Bencivenga

Direttore del quotidiano “La Provincia di Cremona”

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