Esattamente otto giorni fa Giorgia Meloni ha giurato fedeltà alla Repubblica davanti a Sergio Mattarella. Non che prima fosse una minaccia per la nazione, ma la solennità del giuramento ha modificato per sempre il suo status: da leader di una singola forza politica a presidente di tutti, da capopopolo a rappresentante delle istituzioni, da gianburrasca dell’opposizione a presidente del Consiglio, prima donna a entrare con la responsabilità del capo nella stanza dei bottoni.
Per arrivare preparata all’appuntamento con la storia la vincitrice delle elezioni per un mese esatto ha tenuto il profilo basso e la bocca chiusa. E ha fatto bene, perché un conto è dirsi «pronti» in campagna elettorale, tutt’altro salire effettivamente lo scalone di Palazzo Chigi e farsi consegnare la simbolica campanella dal presidente uscente. Peraltro, non un presidente del Consiglio qualsiasi, ma un predecessore con la statura e il prestigio internazionale di Mario Draghi, solo un mese fa proclamato a New York «statista mondiale dell’anno».
Giorgia Meloni è entrata al Quirinale al volante della sua 500 e ne è uscita poco dopo sull’auto blu con i vetri oscurati e le bandierine diplomatiche. Per volere della neo premier, l’Audi in uso a Draghi, di fabbricazione tedesca, fin dal secondo viaggio presidenziale è stata sostituita con un’Alfa Romeo: un ostentato omaggio al «made in Italy», anche se ormai il gruppo Fca ha sede legale in Olanda, non perché da quelle parti siano più bravi a costruire le auto, rispetto all’Italia, ma perché lì si pagano meno tasse.
Così, anche se l’intenzione era buona (in linea con lo sbandierato principio del sovranismo) l’effetto della mossa è stato beffardo, visto che da lì a poco proprio il tema fisco è diventato la prima pietra d’inciampo del nuovo Governo, con la controversa questione dell’innalzamento del limite dei pagamenti in contanti da duemila a (forse) diecimila euro.
Per smontare l’equazione «limite più alto uguale maggiore evasione fiscale» Giorgia Meloni ha citato nientemeno che l’ex ministro dell’Economia del Pd Pier Carlo Padoan. E in suo soccorso è arrivato il centro studi Unimpresa, secondo il quale negli ultimi dodici anni in Italia l’evasione più bassa si è registrata nel 2010, quando il tetto del contante aveva raggiunto la quota più alta, 5.000 euro, mentre il livello massimo di evasione, con picchi superiori a 109 miliardi, si è registrato nel periodo compreso fra il 2012 e il 2014, quando la soglia massima per i pagamenti cash era stata abbassata a soli 1.000 euro.
Di tutt’altro tenore le analisi del Fondo Monetario Internazionale, dell’Ue e di Bankitalia, secondo le quali l’incremento delle transazioni in contanti alimenta l’economia sommersa, il mercato nero e l’evasione fiscale. Chi ha ragione?
Sembra di tornare ai primi tempi della pandemia Covid-19, quando c’erano esperti che suggerivano l’uso della mascherina e altri che lo consideravano inutile, specialisti che curavano la malattia aumentando la quantità di ossigeno nei polmoni dei malati ospedalizzati e altri che lo sconsigliavano denunciando i rischi dell’iperventilazione.
Paragone azzardato? Non proprio, visto che l’altro fronte critico della prima settimana del Governo Meloni ha riguardato proprio lasvolta «aperturista» nella lotta al virus arrivato nel 2019 dalla Cina: stop al bollettino giornaliero delle vittime e dei contagi, cancellazione delle sanzioni inflitte a chi non aveva rispettato le norme del lockdown, riammissione in servizio del personale sanitario «no vax» che era stato sospeso.
Un «liberi tutti» accolto con sollievo da una parte dell’opinione pubblica, stufa di divieti e restrizioni, ma anche con preoccupazione dalla gran parte dei medici e dalla comunità scientifica. In proposito, perfino il Presidente Mattarella si è sentito in dovere di intervenire, per avvertire gli ottimisti che «il periodo più drammatico è alle spalle, ma non possiamo ancora proclamare la vittoria sul Covid».
Non solo. Dal Colle sono arrivati anche l’invito a «far uso di responsabilità e precauzione» e il monito alla sanità pubblica di «mantenere alta la sicurezza nei confronti dei più fragili, gli anziani e quanti soffrono di patologie pregresse».
Il fatto è che da fisco al Covid pochi giorni sono bastati per far capire a tutti quali differenze esistono fra un Governo tecnico e un Governo politico. Il primo (almeno in teoria) segue la logica, il secondo compie delle scelte. E nel suo primo discorso la Presidente del Consiglio Giorgia Meloni lo ha dichiarato esplicitamente: «Oggi interrompiamo la grande anomalia italiana, dando vita ad un governo politico pienamente rappresentativo della volontà popolare. Intendiamo farlo, assumendoci pienamente i diritti e i doveri che competono a chi vince le elezioni. E per 5 anni. Il nostro obiettivo è garantire agli italiani, a tutti gli italiani, un futuro di maggiore libertà, giustizia, benessere, sicurezza. E se per farlo dovremo scontentare alcuni potentati, o fare scelte che potrebbero non essere comprese nell’immediato da alcuni cittadini, non ci tireremo indietro. Perché il coraggio, di certo, non ci difetta». Detto, fatto. E siamo solo all’inizio.
MARCO BENCIVENGA
Direttore “La Provincia di Cremona”