Una delle grandi fortune politiche di Giorgia Meloni è l’assoluta incapacità delle opposizioni di fare fronte comune rispetto alla sua leadership e alle scelte del suo Governo. Pd, M5S, Azione, Italia Viva, Europa Verde, Sinistra Italiana e le altre sigle minori si dividono su tutto, perfino su un tema universale come la pace: lo dimostrano oltre ogni ragionevole dubbio le due manifestazioni andate in scena ieri, quasi in contemporanea, a Roma e a Milano. Nella capitale un raduno (a proposito: si può ancora chiamarlo «raduno» senza incappare nelle nuove norme contro i rave party?) organizzato dal M5S e da alcune sigle del pacifismo cattolico per chiedere alla Russia il cessate il fuoco immediato in cambio dello stop alle forniture di armi all’Ucraina.
In sostanza una pace «putiniana», con la resa incondizionata di Kiev e la rinuncia ai territori invasi ormai 255 giorni fa. In Lombardia tutto il contrario: un appuntamento promosso da Azione e condiviso da parte del Pd (ma non da tutto il Pd) per esprimere solidarietà al popolo ucraino e ribadire il suo diritto a difendere i confini a oltranza («costi quel che costi» avrebbe detto Mario Draghi, «padroni a casa nostra» avrebbe potuto commentare Matteo Salvini). Due posizioni agli antipodi, simili nelle buone intenzioni di partenza, ma profondamente diverse nella sostanza. Perché questo è sempre stato un limite del centrosinistra: concentrarsi sul dito, anziché guardare la luna, in un perenne dibattito sul dettaglio, meglio l’indice o l’anulare? Il medio, il pollice o addirittura il mignolo?
Sia chiaro: avere princìpi non negoziabili è una virtù, ma il distinguo su tutto diventa spesso un limite, una zavorra, un atto di autolesionismo. Molto più pragmatici i partiti del centrodestra, altrettanto divisi su alcune partite chiave (il fisco, l’indivisibilità dello Stato, la politica internazionale…) ma sempre pronti a fare fronte comune se garantisce la vittoria alle elezioni. Al di là delle apparenze e della coesione di facciata, che non tutto fili per il verso giusto nel centrodestra lo dimostra lo strappo che si è consumato in settimana in Lombardia, la regione più importante e popolata d’Italia, oltre che la locomotiva economica dell’intero Paese. Dopo essersi autocandidata alla presidenza della Regione (in realtà, ha specificato che la successione ad Attilio Fontana le era stata promessa quando ha accettato di raccogliere l’eredità di Giulio Gallera in piena pandemia) Letizia Moratti si è dimessa da vicepresidente sbattendo la porta.
«È venuta meno la fiducia in Fontana», ha spiegato senza giri di parole. E il fatto che il Governatore l’abbia rimpiazzata nel giro di poche ore con una figura del calibro di Guido Bertolaso non è la conferma della proverbiale efficienza lombarda, ma la prova provata che la mossa morattiana era ampiamente attesa, non un fulmine a ciel sereno. I tuoni, che preludono sempre a un temporale, si erano fatti sentire da un po’ e la situazione non era deflagrata in precedenza solo perché bisognava vincere le elezioni nazionali (ed abbiamo già appurato che il centrodestra sa essere pragmatico, perfino cinico, se serve per raggiungere un importante obiettivo).
Il piano B – B come Bertolaso, non a caso – era pronto da tempo e tanta lungimiranza permetterà ad Attilio Fontana di arrivare alla scadenza naturale del suo mandato, la prossima primavera, scongiurando il rischio di elezioni anticipate e la conseguente figuraccia politica. Se non è un miracolo di resilienza, poco ci manca. In tutto questo, cosa ha fatto il centrosinistra? Anziché sfruttare l’occasione e l’inattesa frattura nel fronte avversario, si è affrettato a dichiarare che non accetterà mai di arruolare la Moratti nelle proprie fila o di appoggiarne in qualche modo la candidatura. Passi allearsi con Conte, imbarcare il transfuga Di Maio o flirtare a giorni alterni con Fratoianni o Calenda, ma la Moratti no. Meglio perdere in purezza che provare a conquistare la Regione dopo 28 anni di dominio del centrodestra con una candidatura «ibrida». Il mitico Tafazzi sarebbe sicuramente d’accordo.
MARCO BENCIVENGA
Direttore “La Provincia di Cremona”
Intanto, novità in Regione Lombardia
Ieri non lo era, ma oggi è ufficiale: Letizia Moratti sarà la candidata del Terzo polo alle regionali in Lombardia. «Insieme con Carlo Calenda e Matteo Renzi – ha fatto sapere Moratti in una nota – ho condiviso l’avvio di un percorso che mi vedrà candidata alla presidenza di Regione Lombardia». Una collaborazione, sottolinea Moratti, «che nasce sostenuta dall’ampia e consolidata rete civica a me vicina e dal Terzo Polo», e «ampiamente aperta» all’adesione «di tutti gli interlocutori politici, culturali, del terzo settore e delle associazioni», con i quali «realizzeremo interessanti e positivi confronti per la costruzione di una coalizione vincente». Un progetto che Moratti definisce «forte ed attento ai territori» e orientato «ad offrire una visione del futuro lombardo e nazionale capace di interpretare i mutamenti in atto ed affrontare le nuove sfide in arrivo». Per questo «ringrazio Carlo Calenda e Matteo Renzi per l’appoggio di Azione ed Italia Viva – conclude Moratti – inizia oggi un nuovo appassionante cammino per dare le risposte che la Lombardia merita».