La «ritirata» di Mario Draghi sull’Irpef (il presidente del Consiglio aveva proposto di escludere dal bonus energia i titolari di redditi superiori ai 75 mila euro, i partiti del centrodestra gli hanno imposto la retromarcia evocando lo spettro di una patrimoniale mascherata) suscita alcune riflessioni. La prima: se si guarda al bicchiere mezzo pieno, si può dire che il caso dimostra oltre ogni ragionevole dubbio che la democrazia nel nostro Paese non è sospesa, come vorrebbe invece far credere qualcuno.
A Palazzo Chigi c’è una figura autorevole, un super esperto chiamato a gestire un momento di emergenza nazionale a fronte della conclamata incapacità di partiti e Parlamento, ma non certo un dittatore. Draghi ha una spiccata personalità, grande autorevolezza internazionale e il piglio di chi è abituato a decidere più che a trattare, ma non è un tiranno: al contrario, ascolta, valuta e, se necessario, cambia idea. Ottima notizia.
Questa, però, non è l’unica lettura possibile: se si guarda al bicchiere mezzo vuoto, il caso Irpef rischia di diventare un pericoloso precedente, perché dialogo ed elasticità sono un pregio, sì, ma solo fino a che non minano le fondamenta di una leadership. Se anche Draghi diventasse ostaggio dei partiti, degli interessi di parte e dei veti incrociati, la differenza con i predecessori si assottiglierebbe.
Addirittura, per SuperMario potrebbe essere l’inizio della fine, perché tutti in pubblico gli dicono bravo, bene, bis, ma intanto – nell’ombra e di nascosto – lavorano per toglierselo di torno: qualcuno lo vorrebbe mandare in esilio dorato al Quirinale; qualcun altro è già pronto a guardare oltre: trovato il nuovo presidente della Repubblica, punta alle elezioni e a nuove, possibili maggioranze in Parlamento. E poiché ogni partito è convinto di poter capitalizzare a proprio vantaggio gli indiscutibili successi del Governo Draghi (o, nel caso di Fratelli d’Italia, il fatto di essere l’unica forza di opposizione) gli interessi di bottega rischiano di pesare sulla bilancia più degli interessi generali del Paese.
Sta a Draghi, a questo punto, dimostrare di saper volare più in alto: aperto sì, fesso no. Il presidente del Consiglio deve ascoltare tutti, ma non farsi dettare l’agenda e le scelte da nessuno. Perché ci sono partite fondamentali da giocare (due su tutte: la gestione dei fondi del Pnrr e la lotta alla pandemia, tutt’altro che conclusa) e all’orizzonte non si vede chi possa farlo meglio di lui.
MARCO BENCIVENGA
Direttore “La Provincia di Cremona”