A domande fatte al mare risposte di poesia

Un tale, andato a Trieste per vedere quel che stava capitando in una città famosa per la sua riservatezza e il suo vento, che se soffia arrabbiato ti mette a sedere senza neppure che te accorgi, ha riferito che non c’era niente di strano: la gente sta in piazza, ma si capisce che è lì per scambiarsi opinioni; il mare è azzurro da una parte, blu dall’altra e di un colore indefinito dove barche e navi scaricano merci; gli addetti al porto dicono a chiunque di stare alla larga, che loro non vogliono curiosi interessati solo al “no” piuttosto che al loro diritto di essere liberi di fare, disfare, ammalarsi e guarire; la gente che va e viene dalla piazza al porto e dal porto alla piazza lo fa cercando di stare in equilibrio, come solo i triestini che conoscono il vento di bora sanno fare; per il resto, il caffè servito nei celebri caffè di Trieste, è sempre di ottima fattura e il mare che accarezza le rive ora amico e subito dopo nemico. Tutto qui? No, proprio no.

Infatti. quel tale che a Trieste doveva semplicemente misurare e riferire gli umori della folla, forse per non sentirsi inutile in una città che non aveva voglia di raccontarsi, ha incominciato a fare domande che nulla c’entravano con le presunte sommosse di portuali e affini, lì riuniti per dire no al Green pass. obbligatorio se e come si volesse andare a lavorare. Mettendo in bella mostra il suo fare da turista, a due signore che stavano sulla riva e avevano tutta l’aria di essere scrittrici, ha perentoriamente chiesto: “Che cosa sono le meduse?”. Le signore, senza neppure distogliere lo sguardo dalla porzione di mare scelta per far da proscenio al loro raccontare scrivendo, hanno risposto che le meduse sono pesci, però strani, che affiorano e disturbano, che non hanno un posto dove stare, almeno fino a quando qualcuno prepara per loro Il giardino delle meduse (che è anche il titolo di un libro intelligente scritto da Paola Vitale e Rossana Bossù). Allora si mostrano e appaiono “a volte grandi come aquiloni, altre così piccole da confondersi tra le gocce d’acqua salata”, magari anche per invitare chiunque a riflettere sui cambiamenti climatici, di cui le loro “fioriture” sono indicatori preziosi. “E il polpo, anche lui un pesce – ha chiesto il nostro inviato a un anziano che passava -, che cosa ci fa nel cortile dei Timidi? Simona Ciraolo, autrice di un libro intitolato Timidi, che per caso si trovava da quelle parti, gli ha risposto che quel polpo si chiamava Maurizio, che era appena arrivato in città, che odia essere al centro dell’attenzione e che riusciva benissimo a non farsi notare; infatti, gli era facile scomparire in classe o in cortile al punto che se non provavi a cercarlo non ti accorgevi neppure che mancava; però era vivo e quel che lo bloccava era la grande timidezza, che tra Timidi sembrava normalità.

L’altro giorno l’inviato è tornato a casa e ha raccontato agli amici della piazza che a parte qualche insulto relativo al suo far niente in mezzo a gente che non faceva niente ma che intendeva fare qualcosa per giustificare il casino messo in circolo ma anche alle sue strane domande, là era tutto nella norma. “E tuto quel che televisioni e giornali hanno mostrato urbe et orbi, che cosa erano?”, gli ha chiesto il solito pensoso comunista. “Scaramucce, esibizioni di muscoli da parte di qualche gruppettaro, prove di rivoluzione senza però possederne le fondamenta, che esigono compattezza, ubbidienza, forza e sbadataggine in abbondanza”, gli ha risposto il reduce da Trieste. “Qui, invece, si piange e si ride, come sempre” gli ha fatto notare Bastian Contrario. “E come sempre – ha aggiunto la celodurista Ivana – siamo invasi da variopinti sconosciuti, di sicuro mandati per invadere l’italico suolo”.

Ieri ho regalato a Ivana, con preghiera di lettura attenta, un libro (non a caso intitolato Cos’è un rifugiato?) che con semplicità e sostanza presenta (ai bambini ma anche agli adulti) un tema di cui sentono sempre più parlare, ma molto spesso male, in modo parziale e infarcito da preconcetti. E lo fa ponendo domande – chi sono i rifugiati? perché sono chiamati così? perché devono lasciare la loro casa? perché non vengono accolti nel Paese dove arrivano? -, raccontando vite di bambini etichettati come stranieri abusivi, qualche volta come rifugiati, spesso soltanto come intrusi in una realtà che dimentica una verità inconfutabile, quella che dicendo “un disperato in fuga dal Paese che lo ha generato, migrante o rifugiato che sia, è una persona, proprio come te e me”, non stabilisce confini e ripudia qualunque muro eretto a difesa o protezione della propria vantata civiltà. Scegliendo il libro da regalare a Ivana, ne ho scoperto un altro (intitolato (Non) C’è posto per tutti, scritto da Kate e Jol Temple) a dir poco inquietante, che racconta la storia di una foca e del suo cucciolo costretti a lasciare il loro scoglio e quindi obbligati a trovare una nuova casa senza sapere se le altre foche saranno disposte ad accoglierli. In un susseguirsi di “sì ti accolgo” e di “no, non c’è posto” la storia trasforma il rifiuto, possibile e per tanti anche giustificabile, in accoglienza, così bella da sostituire a chiusure, gelosie, difficoltà, rifiuto e muri, mancanza di empatia, paura del diverso e del cambiamento in aperture generose e abbracci sinceri. E’ il miracolo dell’accoglienza, che, come ha spiegato Silvia Gusmano commentano il libro “è il desiderio di aiutare e di far posto, l’anelito ad allargare la comunità, le famiglie e i confini: mentali e non”.

Quale sia la geografia che ci ospita, sarà il caso di rileggere quel il giovane Luigi Pirandello scrisse in Guardando il mare, poesia amara e vera che dice: “E sei vivo anche tu, come son io: / tu per molto, io per poco, e ne son lieto. / Ma ti vedo e ti penso, io: tu non vedi / e non pensi, beato! Fino ai piedi / vieni con un sommesso fragorío / a stendermi le spume, mansueto / come un mercante di merletti… Bravo! / Uno ne stendi, e tosto lo ritrai, / ed ecco un altro, e un altro ancora… Scempio / fai cosí della tua grandezza, ignavo? / Tenta, prova altri scherzi… non ne sai? / Ma ingoiati la terra, per esempio!”. Poi, se la prima non ha suscitato pensieri nuovi e coraggiosi, leggete la seconda, scritta da un tale di cui ho perso nome e indirizzo, che dice: “Tutto dice di sì. / Sì del cielo, l’azzurro, / e sì, l’azzurro del mare, / mari, cieli, azzurri / con spume e con brezze, / giubili monosillabi / senza sosta ripetono. / Un sì risponde sì / a un altro sì. Grandi dialoghi / ripetuti si odono / al di sopra del mare / da un mondo all’altro: sì”.

Ditelo questo sì, ditelo a chi volete, ma ditelo. Perché è domenica, perché sebbene si abbia “occhi stanchi e addolorati” possiamo nutrirli ancora adesso “dell’immensità del mare”, perché non ci sono “orecchie stordite dal rumore volgare, o troppo sazie di troppo ricche melodie” che possono impedire di “ascoltare sino a trasalire, ciò che dicono le vecchie caverne”. Se immaginate che queste righe siano state pronunciate da qualche santo vi sbagliate. Cercate e leggete Keats, poeta non casuale, e ve ne accorgerete.

Quanto all’autore del solito Domenicale, sappiate che scrive ben sapendo, alla pari di Calvino, che “scrivere è nascondere qualche cosa in modo che poi venga trovata”. Trovata dal lettore, occasionale o solitario, cioè da voi.

LUCIANO COSTA

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