Il Domenicale

A lezione di “democrazia”, applicata vera oppur sognata…

Se la conosci, la ami. Ma, chi è mai costei? E’ Democrazia, bella avvenente leggiadra attesa sognata, coraggiosa, virtuosa, invidiata e cercata fanciulla, perciò degna d’essere maritata ed elevata a modello unico di civiltà. Nei giorni scorsi due Capi, uno religioso e l’altro laico, entrambi portatori di valori e ideali utili a rendere migliore il mondo e l’umanità che lo abita, hanno dedicato a Democrazia (in questo caso non più quella fanciullasemplicemente desiderata, bensì realtà e metodo di gestione e vita della Città dell’uomo, cioè di noi cittadini del mondo) pensieri alti e preoccupati, tanto alti e preoccupati da spingere più di un politicante in libera uscita a proclamarsi irritato nel sentirsi accostato ai negatori o scarsi stimatori della Democrazia. Evito di dare un volto a costoro e stendo un velo pietoso sui loro lamenti. Invece, dedico attenzione alle parole pronunciate da papa Francesco e dal presidente Mattarella davanti al popolo accorso a Trieste per partecipare alla 50ª Settimana sociale dei cattolici in Italia (per chi non lo sapesse o l’avesse dimenticato, queste settimane, inventate da Giuseppe Toniolo per dare concretezza all’impegno dei cristiani in politica e nel sociale, hanno offerto intelligenze, mani, braccia e cuori al servizio del Bene Comune), dedicata quest’anno al tema che porta dritto “al cuore della democraziainvitando chiunque a partecipare tra storia e futuro.

Scrivendo la prefazione di un libretto diffuso proprio nei giornidella settimana sociale, Francesco oltre a ribadire che il termine democrazia è nato nell’antica Grecia per indicare il potere esercitato dal popolo attraverso i suoi rappresentanti, ammonisce chi lo offende e lo rende merce opinabile destinata asoffrire le conseguenze di un morbo pericoloso, quello dello scetticismo democratico, male oscuro ma sempre “pronto a cedere il passo al fascino del populismo. Invece la democraziascrive il Papa – ha insito un valore grande e indubitabile: quello dell’essere “insieme”, del fatto che l’esercizio del governo avviene nell’ambito di una comunità che si confronta, liberamente e laicamente, nell’arte del Bene Comune, che non è altro se non un diverso nome di ciò che chiamiamo politica”. Insieme è poi e soprattutto sinonimo di partecipazione... Ho imparato che il problema degli altri è uguale al mio – diceva don Lorenzo Milani ai suoi ragazzi e giovani -; uscirne insieme è la politica, sortirne da soli è l’avarizia”. Francesco ribadisce che “la via democratica è quella di discuterne insieme e sapere che solo insieme i problemi possono trovare una soluzione. Perché in una comunità come quella umana non ci si salva da soli”. Partecipare, dunque, è esercizio irrinunciabile. “Ed è nella parola parteciparesostiene il Papache troviamo il senso autentico di cosa sia la democrazia, di cosa significa andare al cuore di un sistema democratico”. Magari rischiando popolarità e rendita. “Ma il rischio è il terreno fecondo su cui germoglia la libertà; mentre invece balconear, stare alla finestra di fronte a quanto accade intorno a noi – scrive Francesco – non solo non è eticamente accettabile ma neppure saggio e conveniente.

Parlando ai partecipanti della Settimana sociale celebrata a Trieste, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha messo in chiaro valori e ideali che stanno alla base e al vertice della Democrazia, la quale “suggerisce un valore e incarna un metodo di governo che le dittature del Novecento hanno inteso come nemico da battere. Invece “gli uomini liberi – ha spiegato Mattarella – ne hanno fatto una bandiera. Insieme, una conquista e una speranza che, a volte, si cerca, in modo spregiudicato, di mortificare ponendone il nome a sostegno di tesi di parte. Infatti, non vi è dibattito in cui non venga invocata a conforto della propria posizione. Un tessuto che gli avversari della democrazia pretenderebbero logoro…”

Così, e cito testualmente…

linterpretazione che si dà di questo ordito essenziale della nostra vita – ha detto il Presidente – appare talora strumentale, non assunto in misura sufficiente come base di reciproco rispetto. Si è persino giunti ad affermare che siano opponibili tra loro valori come libertà e democrazia, con quest’ultima artatamente utilizzabile come limitazione della prima. Non è fuor di luogo, allora, chiedersi se vi sia, e quale, un’anima della democrazia. O questa si traduce soltanto in un metodo? Cosa la ispira? Cosa ne fa l’ossatura che sorregge il corpo delle nostre istituzioni e la vita civile della nostra comunità? È un interrogativo che ha accompagnato e accompagna il progresso dell’Italia, dell’Europa. Alexis de Tocqueville affermava che una democrazia senz’anima è destinata a implodere, non per gli aspetti formali naturalmente, bensì per i contenuti valoriali venuti meno. Intervenendo a Torino, alla prima edizione della Biennale della democrazia, nel 2009, il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, rivolgeva lo sguardo alla costruzione della nostra democrazia repubblicana, con la acquisizione dei principi che hanno inserito il nostro Paese, da allora, nel solco del pensiero liberal-democratico occidentale. Dopo la “costrizione” ossessiva del regime fascista soffiava “l’alito della libertà”, con la Costituzione a intelaiatura e garanzia dei diritti dei cittadini. L’alito della libertà anzitutto come rifiuto di ogni obbligo di conformismo sociale e politico, come diritto all’opposizione. La democrazia, in altri termini, non si esaurisce nelle sue norme di funzionamento, ferma restando l’imprescindibilità della definizione e del rispetto delle “regole del gioco”. Perché – come ricordava Norberto Bobbio – le condizioni minime della democrazia sono esigenti: generalità e uguaglianza del diritto di voto, la sua libertà, proposte alternative, ruolo insopprimibile delle assemblee elettive e, infine e non da ultimo, limiti alle decisioni della maggioranza, nel senso che non possano violare i diritti delle minoranze e impedire che possano diventare, a loro volta, maggioranze. È la pratica della democrazia che la rende viva, concreta, trasparente, capace di coinvolgere.

Quali le ragioni del riferimento all’alito della libertà parlando di democrazia? Non è democrazia senza la tutela dei diritti fondamentali di libertà, che rappresentano quel che dà senso allo Stato di diritto e alla democrazia stessa. L’impegnativo tema che avete posto al centro della riflessione di questa Settimana sociale interpella, con forza, tutti. La democrazia, infatti, si invera ogni giorno nella vita delle persone e nel mutuo rispetto delle relazioni sociali, in condizioni storiche mutevoli, senza che questo possa indurre ad atteggiamenti remissivi circa la sua qualità.

Si può pensare di contentarsi che una democrazia sia imperfetta? Di contentarsi di una democrazia a “bassa intensità”? Si può pensare di arrendersi, “pragmaticamente”, al crescere di un assenteismo dei cittadini dai temi della “cosa pubblica”? Può esistere una democrazia senza il consistente esercizio del ruolo degli elettori? Per porre mente alla defezione/diserzione/rinuncia intervenuta da parte dei cittadini in recenti tornate elettorali.

Occorre attenzione per evitare di commettere l’errore di confondere il parteggiare con il partecipare. Occorre, piuttosto, adoperarsi concretamente affinché ogni cittadino sia nelle condizioni di poter, appieno, prendere parte alla vita della Repubblica. I diritti si inverano attraverso l’esercizio democratico. Se questo si attenua, si riduce la garanzia della loro effettiva vigenza. Democrazie imperfette vulnerano le libertà: ove si manifesta una partecipazione elettorale modesta. Oppure ove il principio “un uomo-un voto” venga distorto attraverso marchingegni che alterino la rappresentatività e la volontà degli elettori. Ancor più le libertà risulterebbero vulnerate ipotizzando democrazie affievolite, depotenziate da tratti illiberali.

Ci soccorre anche qui Bobbio quando ammonisce che non si può ricorrere a semplificazioni di sistema o a restrizioni di diritti “in nome del dovere di governare”. Una democrazia “della maggioranza” sarebbe, per definizione, una insanabile contraddizione, per la confusione tra strumenti di governo e tutela della effettiva condizione di diritti e di libertà.

Al cuore della democrazia ci sono le persone, le relazioni e le comunità a cui esse danno vita, le espressioni civili, sociali, economiche che sono frutto della loro libertà, delle loro aspirazioni, della loro umanità: questo è il cardine della nostra Costituzione. Questa chiave di volta della democrazia opera e sostiene la crescita di un Paese, compreso il funzionamento delle sue istituzioni, se al di là delle idee e degli interessi molteplici c’è la percezione di un modo di stare insieme e di un bene comune. Se non si cede all’ossessiva proclamazione di quel che contrappone, della rivalsa, della delegittimazione. Se l’universalità dei diritti non viene menomata da condizioni di squilibrio sociale, se la solidarietà resta il tessuto connettivo di una economia sostenibile, se la partecipazione è viva, diffusa, consapevole del proprio valore e della propria essenzialità.

Dice molto altro il presidente Mattarella. E converrà leggere e rileggere quel che ha detto. Per farlo basta andare sul sito “Presidenza della Repubblica” e cercarediscorsi del presidente.Avrei potuto farlo qui e adesso. Invece, causa spazio, vi mando al sito riservandomi il diritto di commento alla prossima uscita. Però, nel caso vi sentiate lontani da simili discorsi, ve ne offro un terzo, fatto tanti anni fa a mo’ di canzoncina da un giullare intelligente, tale Gaber, ancora lui, che anche se morto tiene viva l’intelligenza di troppi dormienti. Dice il menestrello che “la dittatura in Italia c’è stata, e chi l’ha vista sa cos’è, gli altri si devono accontentare di aver visto solo la democrazia. Io da quando mi ricordo, sono sempre stato democratico, non per scelta, per nascita. Come uno che appena nasce è cattolico apostolico romano. Cattolico pazienza, apostolico non so cosa vuol dire, ma anche romano… Comunque diciamo, come si fa oggi, a non essere democratici?  Sul vocabolario c’è scritto che democrazia, è parola che deriva dal greco, e significa “potere al popolo”. L’espressione è poetica e suggestiva. Ma in che senso potere al popolo? Come si fa? Questo sul vocabolario non c’è scritto. Però si sa che dal 1945, dopo il famoso ventennio, il popolo italiano ha acquistato finalmente il diritto al voto. E’ nata così la famosa democrazia rappresentativa, che dopo alcune geniali modifiche, fa si che tu deleghi un partito, che sceglie una coalizione, che sceglie un candidato, che tu non sai chi è, e che tu deleghi a rappresentarti per cinque anni. E che se lo incontri, ti dice giustamente: “Lei non sa chi sono io”. Questo è il potere del popolo. Ma non è solo questo. Ci sono delle forme ancora più partecipative. Il referendum per esempio, è una pratica di democrazia diretta, non tanto pratica, attraverso la quale tutti possono esprimere il loro parere su tutto. Solo che se mia nonna deve decidere sulla “variante di valico Barberino Roncobilaccio”, ha effettivamente qualche difficoltà. Anche perché è di Venezia. Per fortuna deve dire solo sì se vuol dire no, e no se vuol dire sì.  In ogni caso ha il 50% di probabilità di azzeccarla. Ma il referendum ha più che altro un valore folcloristico simbolico. Perché dopo avere discusso a lungo sul significato politico dei risultati, tutto resta come prima, e chi se ne frega… Adesso è tutto diverso… E’ successo un mezzo terremoto, le formazioni politiche hanno nomi e leader diversi. Bè adesso non c’è più il 50% a destra e il 50% a sinistra. C’è il 50% al centrodestra e il 50% al centrosinistra. Oppure, il 50 virgola talmente poco, che basta che a uno gli venga la diarrea che cade il governo. Non c’è niente da fare, sembra proprio che gli italiani non vogliano essere governati, non si fidano. Hanno paura che se vincono troppo quelli di là, viene fuori una dittatura di sinistra. Se vincono troppo quegli altri, viene fuori una dittatura di destra. La dittatura di centro invece? Quella gli va bene Auguri auguri auguri

E auguri, auguri, auguri li aggiungo io. Che Dio ce la mandi buona, che tra un voto francese, uno inglese, uno italiano, uno europeo, uno ungherese, uno spagnolo, uno americano, uno arabo-islamista o di altro qualsivoglia Paese (ma non cinese o russo dove il voto è un optional), c’è poco da stare allegri.

LUCIANO COSTA

Altri articoli
Il Domenicale

Potrebbero interessarti anche