Si è spento come il lume che a cui il tempo ha tolto il necessario per splendere: Benedetto XVI, il papa che stupendo il mondo e ammettendo che l’età e gli acciacchi gli impedivano di assicurare alla Chiesa l’attenzione e la cura necessarie, ha concluso la sua avventura terrena e intrapreso il cammino verso la porzione di cielo riservata ai giusti e ai devoti servitori del Vangelo. Se ne è andato chiedendo per sé una preghiera e per coloro a cui consegnava la sua storia il bene della comprensione e della compassione. Aveva 95 anni, si sentiva tedesco sebbene avesse scelto di essere cittadino del mondo, era uomo e prete di cultura eccelsa, studioso e scrittore di fama internazionale, predicatore saggio, teologo costantemente in ricerca di Verità, pacifico per scelta, mite per natura, compassionevole per vocazione, orante senza pretendere che quel suo inginocchiarsi per invocare misericordia fosse considerato un di più e non l’essenziale, dolce come solo un attento Pastore sa esserlo… Il 12 febbraio 2013, con parole che invocavano comprensione e che con pari consapevolezza aprivano un tempo nuovo, consegnò le sue dimissioni al Collegio cardinalizio e diventò così il primo Papa Emerito della storia, utile per servire e per pregare e non più per governare e guidare il popolo dei cristiani nel difficile groviglio di novità e di crescenti problemi. Per sua nuova dimora scelse il monastero Mater Ecclesia, dentro le mura vaticane, onorato dalle suore benedettine con le quali, da quel momento, avrebbe condiviso preghiere, studi, attese, speranze, gioie e immancabili dolori.
Qualche mese prima, il 21 ottobre 2012, Benedetto XVI aveva presieduto la solenne celebrazione per la canonizzazione di sette Beati, tra i quali c’era il bresciano Padre Giovanni Battista Piamarta, fondatore della Congregazione Sacra Famiglia di Nazareth e delle Umili Serve del Signore, che con profonda commozione definì “apostolo della carità e della gioventù, precursore di una presenza culturale e sociale del cattolicesimo nel mondo moderno, uomo e prete di preghiera e di azione…”. Quel giorno, salutandolo mentre lasciava Piazza San Pietro, ai tanti bresciani convenuti a Roma per partecipare alla canonizzazione di un loro grande concittadino, regalò uno sguardo e una carezza che avevano il sapore di un addio. E quel sorriso e quella carezza furino davvero un addio. Infatti, nel breve volgere di quattro mesi Papa Benedetto divenne “Emerito”. Poi, il silenzio, il nascondimento, il camminare senza mai apparire al fianco del suo successore, lo scrivere sommando sapienza ed esperienza da consegnare ai posteri…
Quando mi capitò di rivederlo, senza però poterlo avvicinare, si muoveva lento e pensoso tra il verde e i fiori che circondavano la sua nuova residenza vaticana. Mi sembrò sorridente e sereno, forse anche felice di contare gli anni senza doverli giustificare a chicchessia. La stessa impressione d’essere di fronte a una persona felice l’avevo avuta quando, alcuni anni prima, presentato dall’allora vescovo Giovanni Battista Re, l’avevo incontrato nella pausa dei lavori della Conferenza Episcopale Italiana. Dicendogli che arrivavo da Brescia, Il futuro papa mi chiese notizie dell’Editrice Queriniana (con la quale aveva pubblicato diversi libri), di padre Rosino Gibellini, (anima dell’editrice, con cui condivideva l’ansia della ricerca, vecchie conoscenze, esperienze editoriali importanti e quella fine ma solida amicizia che lega le anime senza obbligarle a convenzioni e convenevoli), di padre Pier Giordano Cabra (che all’abilità di “prezioso scrittore e acuto commentatore di fatti, misfatti, storia e cronaca univa la naturale capacità di stupire”) e anche di Mino Martinazzoli, che per lui era “politico di rara finezza, un pensatore acuto, uomo di dialogo e di silenzio, forse anche e purtroppo incompreso…”. Parlammo anche di papa Paolo VI, della memoria e dell’affetto che lo seguivano e che invitavano a ricercare l’essenza del suo pontificato… “così aperto al dialogo e al confronto, così pieno di umanità, così profondo e toccante nel suo procedere delicato e rispettoso verso l’altro, così essenziale nel proclamare il senso profondo dell’essere cristiani, così coinvolgente nel chiamare ciascuno a diventare costruttori della civiltà dell’amore…”. Poi, prima di ubbidire al richiamo della Conferenza episcopale che doveva proseguire, quella frase gentile che mi collocava tra i fortunati concittadini di “un Papa che ha segnato la storia e che continuerà a seminare sapienza e civiltà dell’amore nel mondo”.
Padre Rosino Gibellini, che fu sicuro custode silente di tante memorie legate a papa Benedetto XVI, mi stupì e non poco quando, camminandogli al fianco nel suo mattutino peregrinare nella porzione di città che affiancava la parrocchiale di Santa Maria della Vittoria, mi raccontò la sua esperienza di studente mandato a Roma per dare completezza i suoi studi condivisa con “gente a cui – mi confidò – non ero neppure degno di legare i calzari… Persone come Kung, Kasper, Moltmann, Ratzinger, già maestri ed esperti di teologia e di cose ecclesiali… Ratzinger, tra tutti, era il più scrupoloso, il più capace di cogliere l’essenza e di proporla in modo che nessun o fosse escluso dal poterla comprendere, anche il più adatto a diventare papa…”. In effetti, gli dissi, quel Joseph Ratzinger Papa lo è diventato davvero… “Scegliendo però di chiamarsi Benedetto – mi fece notare padre Rosino -, come il monastico di Norcia…”, che per gli studiosi era “una delle più potenti leve, dopo il declino della civiltà romana, per la nascita della cultura europea, un astro luminoso in un secolo buio, un faro scintillante del monachesimo, anche una provvidenziale sorgente per poveri e pellegrini…”. Quindi, se era chiaro il concetto, quello salito alla Cattedra di Pietro e di cui si stava parlando “non era certo un Papa di transizione, ma di azione concreta e lungimirante…”. Infatti, come adesso conferma la storia, Egli non aveva paura del confronto con idee e posizioni diverse, guardava con lealtà e lungimiranza ai grandi interrogativi, all’oscurarsi della presenza di Dio all’orizzonte dell’umanità contemporanea, alle domande sul futuro della Chiesa, in particolare nel suo Paese e in Europa…. E cercava di affrontare i problemi con lealtà, senza sfuggirli anche se drammatici… La fede e l’intelligenza della fede gli permettevano di trovare sempre una prospettiva di speranza…”.
Ieri sera, nel tradizionale discorso di fine anno, il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha riservato a papa Benedetto XVI l’elogio della Nazione. “La sua morte – ha detto – è un lutto per l’Italia… Ricorderemo sempre “la sua dolcezza e la sua sapienza di cui hanno beneficato la nostra comunità e l’intera comunità internazionale. Con dedizione ha continuato a servire la causa della sua Chiesa nella veste inedita di Papa emerito con umiltà e serenità. La sua figura rimane indimenticabile per il popolo italiano… Perdiamo un intellettuale e teologo che ha interpretato con finezza le ragioni del dialogo, della pace, della dignità della persona, come interessi supremi delle religioni… Con gratitudine guardiamo alla sua testimonianza e al suo esempio”.
Stamani, nella consueta alba domenicale già gravata dal peso di un anno in più, spulciando tra i tantissimi ricordi postati in rete in attesa di apparire sui giornali quotidiani (torneranno in edicola solo domani), mi ha stupito il riferimento pressoché unanime alla parte del testamento spirituale che papa Benedetto scrisse sul finire dell’anno 2009, il quarto del suo pontificato, quella in cui Egli dice: “Rimanete saldi nella fede! Non lasciatevi confondere! Spesso sembra che la scienza, le scienze e la ricerca storica siano in grado di offrire risultati inconfutabili in contrasto con la fede cattolica. Ho vissuto le trasformazioni delle scienze naturali sin da tempi lontani e ho potuto constatare come, al contrario, siano svanite apparenti certezze contro la fede, dimostrandosi essere non scienza, ma interpretazioni filosofiche solo apparentemente spettanti alla scienza… Sono ormai sessant’anni che accompagno il cammino della Teologia, in particolare delle Scienze bibliche, e con il susseguirsi delle diverse generazioni ho visto crollare tesi che sembravano incrollabili, dimostrandosi essere semplici ipotesi… Ho visto e vedo come dal groviglio delle ipotesi sia emersa ed emerga nuovamente la ragionevolezza della fede…”.
Leggendo il ricordo scritto da padre Lombardi, che di papa Benedetto fu portavoce, ho avuto conferma che “lo sconfinato pontificato di Papa Wojtyla non può essere pensato adeguatamente, dal punto di vista dottrinale, senza la presenza del cardinale Ratzinger e la fiducia riposta in lui, nella sua teologia ecclesiale, nell’ampiezza e nell’equilibrio del suo pensiero…”. Anche che “servire l’unità della fede della Chiesa nei decenni successivi al Vaticano II facendo fronte a tensioni e sfide epocali nel dialogo con l’ebraismo, nell’ecumenismo, nel dialogo con le altre religioni, nel confronto con il marxismo, nel contesto della secolarizzazione e del trasformarsi della visione dell’uomo e della sessualità…” era stata possibile grazie alla sua mediazione. Così, secondo padre Lombardi “quella lunghissima e straordinaria collaborazione fu la preparazione per il pontificato di Benedetto XVI, visto dai cardinali come il più indicato continuatore e successore dell’opera di Papa Wojtyla…”.
In questo trambusto di emozioni e ricordi un posto particolare lo riservo alle occasioni che in tempi diversi mi hanno consentito di cogliere l’essenza delle sue parole e dei suoi pensieri. Fondamentale è la sua “Introduzione al cristianesimo” (libro edito e riedito dall’Editrice Queriniana), illuminante il suo nuovo “Catechismo”, stupefacente la trilogia dedicata a “Gesù di Nazareth”, delicate ma forti le parole da lui usate per rispondere ai calunniatori, dolci i pensieri che puntualmente riservava agli amici bresciani… Poi, quel mite restare al fianco dei giovani. “Se loro stanno qui nel mezzo della tempesta, io sono con loro” disse quando a Madrid si trovò sommerso da venti e tempesta. “Era di sera, l’oscurità si faceva sempre più fitta mentre il Papa cominciava il suo discorso – ha raccontato padre Lombardi -. A un certo punto si scatenò un vero uragano di pioggia e di vento. Gli impianti di illuminazione e acustici cessarono di funzionare e molti dei tendoni ai margini della spianata crollarono. La situazione era veramente drammatica. Il papa fu invitato dai suoi collaboratori ad allontanarsi e mettersi al riparo, ma non volle. Rimase pazientemente e coraggiosamente seduto al suo posto, sul palco aperto, protetto da un semplice ombrello sbattuto dal vento. Tutta l’immensa assemblea seguì il suo esempio, con fiducia e pazienza. Dopo diverso tempo la tempesta si acquietò, smise di piovere e subentrò una grande calma del tutto inattesa. Gli impianti ripresero a funzionare. Il papa terminò il suo discorso e il meraviglioso ostensorio della cattedrale di Toledo venne portato al centro del palco per l’adorazione eucaristica. Il papa si inginocchiò in silenzio davanti al SS.mo Sacramento e dietro di lui, nell’oscurità, l’immensa assemblea si unì a lungo in preghiera nella calma più assoluta”.
Oltre la maestosità dei ricordi di chi gli è stato accanto, potrei qui collocare quelli che ho raccolto e condiviso strada facendo. Come quello del vino delle suore, “di certo un’offesa al Padre Eterno” diceva il predicatore, che Papa Benedetto provvide a sostituire facendo pervenire al convento un saggio onorevole delle cantine vaticane; o quell’altro che legava le scarpe rosse indossate dal papa alla paura di un rosso pronto a invadere chissà quali territori; o quell’altro ancora che raccontava la predilezione del papa per la bionda, niente più di una birra bavarese… Ricordi minimi e riduttivi, forse anche banali. Però, di questo Papa che ha saputo riconoscersi fragile e debole al pari di qualunque comune mortale, amo ricordare l’eterno sorriso con cui accompagnava incontri, udienze e quei minuscoli messaggi che faceva seguire a mo’ di ringraziamento per i libri ricevuti…
Buona domenica anche a te, Papa Benedetto XVI… Ti sia lieve la terra e dolce il cammino verso il Paradiso.
LUCIANO COSTA